Insabbiati

 
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Oggi vorrei parlare di Micia.

Non un nome di fantasia. Non un nome d’arte. Questa era il nome che Oreste dette a questa ragazzina. (1) Lui, Oreste, ex colonello dei tempi del colonialismo italiano.

Una volta che il periodo coloniale giunse al tramonto, fu ufficializzata la sconfitta dell’Italia aprendo così una nuova fase che vide il passaggio da una monarchia degenerata dal Fascio ad una Repubblica. Tuttavia non tutti voltarono pagina. Nonostante molti coloni italiani furono espulsi dai territori sottomessi in Libia e in Africa Orientale, alcuni riuscirono a rimanere. Oreste non era solo, anzi, lui era particolare. Era un insabbiato. Una “famiglia” in Etiopia lui ce l’aveva già. Aveva delle donne intorno cui lui si riferiva chiamandole la sua “servitù”. Mangiava solo ad un tavolo ed esercitava simbolicamente la sua autorità di pater familias sui tanti figli di cui non sapeva se fossero tutti suoi. Un gruppo sociale eterogeneo su cui si confondevano molti piani e molte relazioni: ex fidanzate, figlie, serve, figlie adottive, ed è in questo contesto malato che si inserisce Micia. Micia era una ragazzina che è stata trovata sulle strade di Addis Abeba vicino ad un bordello. L’uomo instaurò un rapporto torbido, abusivo e patologico con la ragazzina, un’ossessione che lui stesso chiamava “bambine mania”. La bambina lo chiamava padroncino perché così lui le aveva imposto la sua subalternità che si estendeva non solo sul piano verbale ma anche su quello carnale facendo strip-tease e ballando nuda nella camera da letto dell’uomo che riuniva nella sua persona malata il ruolo del padre, del marito e dell’amante. Una vicenda che fatica a celare un certo decadente abbrutimento. E quando Oreste fu prossimo alla morte, Micia pensò persino di togliersi la vita.

Non parliamo di vicende umane lontanissime nel tempo. Questa storia risale agli inizi degli anni Novanta e ci dice molto su quanto alcuni eventi, alcune storie, alcuni dolori, possano trascinarsi negli anni nel silenzio dell'omertà e del trauma.

Ma cosa avevano questi colonelli per la testa?

Il Fascismo ha fatto largo uso di immagini sessuali dove donne etiopi ed eritree posavano nude e lo scopo era quella di eccitare gli uomini alla guerra e alla conquista attraverso l’esposizione coatta di un corpo nero, di donna, percepito come estraneo, inferiore, debole e per cui era legittimo l’uso della forza. Perché il rapporto tra Micia e Oreste è un rapporto di forza come quella che l’Italia ha tentato di imporre all’Etiopia. (2) Uomini come Oreste avevano potere perché facevano parte di forze di occupazione su territorio straniero. Forze imperialiste, per essere più precisi, perché la mira dell’Italia all’epoca era battezzare con il sangue il neonato Regno d’Italia e trasformarlo in un Impero (oltre che vendicare la sconfitta di Adua del secolo scorso). Gli uomini che l’Italia mandò poterono esercitare un potere senza i vincoli della tradizione del paese natale, un potere che nasce dallo stato di eccezione, illimitato perché transnazionale, cosmopolita (perché gli Etiopi si sarebbero spezzati come i Libici sono stati spezzati nei campi di concentramento che l’Italia ha predisposto in quella scatola di sabbia), scientifico perché tutto questo non è stato frutto della mera opinione e il razzismo non era inteso come una opinione difforme alla civile convivenza: era scienza ed era legge.

È così nacque il mito della Faccetta Nera che riecheggia ancora oggi cantato spudoratamente nel 2021 in radio dall'Assessore Regionale all'Istruzione, Formazione, Lavoro e Pari opportunità Elena Donazzan (Fdi), comunicando poi nei giorni seguenti che: “Se a sinistra qualcuno si è offeso, me ne scuso” (3) confermando ancora una volta come per lei e tanti altri, il corpo nero è solo oggetto di lotta politica. La canzone inneggia il feticismo di quelli che scherzosamente, appunto, si definivano “insabbiati” alludendo alla vasta e profonda cultura che questi signori supponevano di aver accumulato attraverso le loro esperienze carnali senza frontiere a scapito delle loro vittime.

Se è pur vero che non possiamo condannare uomini e donne già morti, è tuttavia facoltà dei posteri decidere di quali eredità vivere nel loro presente e cosa tramandare a quelli che verranno. Per quanto alcuni di noi possano trovare difficile accettare che chi si è macchiato di tali atrocità possa benissimo essere il compagno di gioco del proprio nonno, invito te che stai leggendo a capire e trascendere queste limitazioni e abbracciare la più grande causa delle future generazioni, perché se esiste qualcosa che certamente meritano, è di non continuare a soffrire le pene del passato.

Tuttavia in Italia, l’eredità delle passate generazioni, la scaltrezza, l’arroganza e il tribalismo politico rendono difficile questo atto salvifico, come se il Bel Paese facesse difficoltà a prendere coscienza del suo passato per riuscire a superarlo. (4) E Montanelli è il perfetto prodotto in vitro di quei tempi andati. Simbolo del trasformismo italiano del Dopoguerra. Quest’uomo ha insegnato a milioni di Italiani la sua Storia d’Italia con il suo modo di essere ondivago, sprezzante e opportunista.

Subito dopo il conflitto mondiale e la vittoria della Resistenza, gli Stati Uniti e il Regno Unito si preoccuparono di far nascere un’area laica e anglofila da contrapporsi alle forze cattoliche e comuniste presenti nel paese. Quest’area rifiutava pregiudizialmente i nuovi partiti politici in nome di un qualunquismo anarchico, individualista e di un anticomunismo viscerale dai contorni incerti e dagli ambigui confini democratici. Un’area diventata poi dominante nel paese che Montanelli stesso ha contribuito a formare per salvarsi, lui e tanti altri, e che gli ha permesso di plasmare il ricordo del Fascismo dell’opinione pubblica a sua immagine e somiglianza. Grazie a lui, la cosiddetta "avventura coloniale" ha ancora oggi nell’opinione pubblica italiana la portata di un’esperienza romantica finita male che, come tutte le storie d’amore malate, si ricorda nel tempo più per quello che avrebbe potuto essere piuttosto che per quello che è stato. (5) Montanelli è il simbolo di una integrità low-cost, on-demand, un uomo qualunque che ha regalato agli italiani di quei anni di forte tensione politica, un’area sicura, un open-space dove non c’era nulla di cui farsi perdonare e nessuna colpa da emendare e lui ha offerto tutto questo, e la sua fortuna può ben essere spiegata sotto questa lettura. Diventa difficile altrimenti spiegarsi come sia possibile che anche da morto ci siano ancora pronti i suoi cortigiani a difendere scabrose vicende che lo vedono protagonista.

Presso Gianni Bisiach nel ’69 disse: «Era una bellissima ragazza di 12 anni. Scusatemi, ma in Africa è un’altra cosa». A Enzo Biagi, nell’82: «Non mi prendere per un girolimoni perché a 12 anni quelle lì erano già donne. Avevo bisogno di una donna, a quell’età si capisce. La comprai assieme a un cavallo e a un fucile, il tutto per 500 lire. Lei era un animalino docile. Quando me ne andai la cedetti al generale Pirzio Biroli, un vecchio coloniale che era abituato ad avere il suo piccolo harem, a differenza di me che ero monogamo perché non potevo consentirmi grandi lussi». Ne La stanza, su Il Corriere della sera, nel 2000 Montanelli scrive: «Faticai molto a superare il suo odore dovuto al sego di capra di cui erano intrisi i suoi capelli, e ancor di più a stabilire con lei un rapporto sessuale perché era fin dalla nascita infibulata: il che, oltre a opporre ai miei desideri una barriera pressochè insormontabile (ci volle, per demolirla, il brutale intervento della madre), la rendeva del tutto insensibile».

Montanelli rappresenta un tratto di quel padronato canuto fortissimo in Italia che per via della loro età godono di alcuni privilegi a livello economico, patrimoniale e sociale. Purtroppo vi è anche il pregiudizio sociale di ritenere totalmente incapace un uomo e una donna adulta, o comunque in età da lavoro. Quello che tuttavia è evidente e che i canuti (di cui Montanelli è rappresentante) hanno il privilegio dell’auto-assoluzione. Non sono chiamati a rispondere delle loro azioni presenti e passate, che vengono occultate, sminuite o sistematicamente taciute. Non esiste pietà né vergogna per questi individui. La lotta politica e culturale degli Anni di Piombo e del Terrorismo di Stato ha fatto sì che coloro che erano di destra o di sinistra, avessero i loro personaggi di riferimento, i loro profeti, e la lotta politica stessa si è posta come giustificazione di questa insensata omertà perché ogni accusa sembrava di parte, faziosa, arbitraria, suggerendo quasi l’impossibilità di richiamarsi a valori condivisi, ad una moralità, ad una decenza, ad un senso del limite comune; tutto viene perdonato sul piano della sterile lotta politica, ogni violenza viene taciuta, ogni giudizio viene sospeso, soffocato. Montanelli, tuttavia, ha partecipato ad una avventura “al limite”. L’Imperialismo e la voglia di conquista sulla carne e il sangue di civili inermi è oltrepassare il limite. Come d’altronde è oltrepassare il limite descrivere compiaciuti un rapporto sessuale con un minore descrivendo la piccola ragazza al pari di un elettrodomestico difettoso.

Lascia quindi decisamente accigliati venire a conoscenza che esiste una statua in suo onore a Milano, ma ancora di più, i ragli scomposti di coloro che si sono precipitati a servire e difendere questa suo sanguinolento resoconto.

Angelo Del Boca rappresenta perfettamente come lo scienziato e le ricerche che conduce sono totalmente divise dalle considerazioni personali perché, altrimenti, viene da chiedersi come sia possibile che lo storico possa dire quanto segue, anche se credo che Del Boca l’uomo sia di sensibilità ben lontana da quella presente e che non colga il sessismo, il classismo, il razzismo, la mancanza di rispetto, e l’oltraggio di Montanelli l’uomo, suo coetaneo.

Così lo storico ebbe a dire sul Rolling Stones (6) a riguardo della vernice versata dai movimenti femministi e la richiesta di rimozione della statua da parte dei movimenti contro il razzismo.

Nello specifico della vicenda – raccontata dallo stesso Montanelli – durante la quale prese in sposa una 12enne in Abissinia, gli viene imputato di essere stato uno stupratore, ancora peggio un pedofilo. Lei come contestualizza quell’episodio? A quei tempi, ma forse ancora adesso, era normale sposare ragazze di quella età in Africa. Veniva incoraggiato nella prima fase come elemento di fraternizzazione, ma successivamente venne proibito mi pare nel ’37 per un motivo, questo sì razzista, di non mescolare la nostra razza con quelle indigene.

Quindi lei, invece di un atto di prevaricazione razzista, lo valuta come un atteggiamento di integrazione? Sì, lo considero un elemento di integrazione specialmente perché Indro Montanelli mantenne con lei rapporti affettuosi per moltissimi anni.

Il Direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio (7) ebbe a dire al riguardo quanto segue:

« [..] Lui (Montanelli) voleva diventare abissino. Era andato in Africa un po’ nel mito del Duce, ma soprattutto nel mito di Kipling, di cui era un grande lettore. Gli piaceva l’ avventura. Era partito per l’ Africa come il classico europeo affascinato dall’ avventura esotica, dalle popolazioni indigene. Si era immerso nelle tradizioni e nella cultura del luogo. I commilitoni africani gli dissero: “Tu sei single, ti devi sposare”. E lui, a differenza di altri soldati che semplicemente andavano a prostitute, preferì prendere moglie. Allora c’ era anche il cosiddetto “madamato”, questa sorta di sposalizio provvisorio, nato più che altro per evitare la prostituzione e le malattie. Una via di mezzo fra il matrimonio nostro e quello loro. Era del tutto normale, allora, sposarsi a partire dai 12 anni, per le ragazze abissine, come lui stesso ha spiegato diverse volte. È per questo che mi fa sorridere l’accusa di razzismo».

Credo di poter ben dire di aver visto tutto con Del Boca e Travaglio che, in maniera scomposta, si sono precipitati a riverire Montanelli parlando di una violenza sessuale come se fosse conseguenza felice e generosa di una esperienza Erasmus ante litteram. Montanelli è quasi un discolo da redarguire.

E di “integrarsi” non ne aveva assolutamente voglia, come lui stesso ha ben dichiarato a chiare lettere proprio in quegli anni e in tutti quelli a venire:

«Non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può, non si deve. Almeno finché non si sia data loro una civiltà.»

Così purtroppo sono i nemici dei nostri giorni: scaltri, indecenti, in evidente stato di negazione della realtà, con nessuna voglia di rispondere delle proprie azioni e senza opposizione alcuna. Opposizione che, trionfanti, sopprimono e umiliano con il numero essendo tanti, con i giornali, la doppia morale, il potere, il ricatto, l'omertà, la tracotanza.

Osservando la vicenda con distacco tuttavia risulta che i toni cordiali e decisamente amichevoli con i quali questi signori trattano l’intera questione, sottolinei una certa partecipazione personale per Travaglio, e per Del Boca un approccio prossimo alla disquisizione di un mero caso di scuola: il primo nell’ufficio del giornalista toscano mentre il secondo nei giornali. E proprio su questi ultimi si era pacatamente dibattuto l’uso di armi chimiche da parte dell’Italia nel conflitto, l’ennesima lite da salotto che ci hanno regalato i due, e Montanelli ovviamente sciorinava il suo preziosismo linguistico rivolgendosi così allo storico: “Di nuovo Del Boca con le sue balle sui gas. Io c’ero in Africa e non ho mai sentito l’odore di mostarda”.

Se è stato il bravo giornalista che dicono fosse, come è possibile sia venuto meno così platealmente al suo diritto/dovere di raccogliere, elaborare e diffondere con la maggiore accuratezza possibile ogni dato o notizia di pubblico interesse secondo la verità sostanziale dei fatti? Da quando in qua, un conflitto che ha visto confrontarsi l’Italia e l’Etiopia può solo bastare la propria testimonianza oculare? Ed è poi mai questo il modo affidabile, professionale e scientifico di condurre una disputa? Parliamo d’altronde di un conflitto, la Guerra d’Etiopia, che ha causato migliaia di morti da entrambe le parti e che gli Italiani hanno pagato per generazioni sull’accise della benzina.

Depositata presso Ginevra, nel 1936, presso gli archivi della Società della Nazioni (quelle che oggi sono le Nazioni Unite) vi è l’intervento dell’Imperatore d’Etiopia Hailé Selassié (8)che denunciò quanto segue all’assemblea:

“[..]Sugli aeroplani vennero installati degli irroratori, che potessero spargere su vasti territori una fine e mortale pioggia. Stormi di nove, quindici, diciotto aeroplani si susseguivano in modo che la nebbia che usciva da essi formasse un lenzuolo continuo. Fu così che, dalla fine del gennaio 1936, soldati, donne, bambini, armenti, fiumi, laghi e campi furono irrorati di questa mortale pioggia. Al fine di sterminare sistematicamente tutte le creature viventi, per avere la completa sicurezza di avvelenare le acque ed i pascoli, il Comando italiano fece passare i suoi aerei più e più volte. [..] Uomini ed animali soccombettero. La pioggia mortale che veniva dagli aerei faceva morire tutti quelli che toccava con grida di dolore. Anche coloro che bevvero le acque avvelenate o mangiarono i cibi infetti morirono con orribili sofferenze.”

Questo testo rappresenta una testimonianza qualificata, ma non è la sola che ci può aiutare a dare sostanza alla questione. Sul campo del conflitto non vi era solo Montanelli, e neppure l’Imperatore Sélassié e il suo popolo, vi era anche la presenza della Croce Rossa Svedese e Britannica che hanno nello statuto l’obbligo di non prendere posizione nei conflitti ma solo di prestare il loro servizio agli individui coinvolti nel conflitto in cui si ritrovano ad operare. Ovviamente le forze imperialiste italiane hanno rifiutato l’aiuto, le forze etiopi invece lo hanno subito accettato perché non avevano sufficienti strutture e mezzi di soccorso. Non passò molto tempo prima che l’Italia accusò di collaborazionismo gli operatori dell’ospedale da campo, e fu così che molti ospedali da campo furono bombardati. Il dottore Marcel Junod era uno dei medici nel teatro di guerra, e anche lui è scampato la morte dopo che le forze italiane fecero saltare in aria il suo aereo parcheggiato in una remota radura.

Il dottor Junod (9) è stato testimone della pioggia di morte riportando:

"Quella sera [18 marzo 1936] ebbi occasione di vedere con i miei occhi un aereo italiano spruzzare al suolo un liquido oleoso, cadendo come una pioggia sottile e coprendo una vasta area con migliaia di goccioline, ognuna delle quali, toccando il tessuti, ha prodotto una piccola bruciatura, trasformandosi poche ore dopo in una vescica. Era il gas bollente che gli inglesi chiamano gas mostarda. Migliaia di soldati sono stati colpiti da gravi lesioni dovute a questo gas ... "

Al fine di mantenere la sua indipendenza e la sua imparzialità, la Croce Rossa non ha mai inoltrato tale testimonianza presso la Società delle Nazioni durante il conflitto; tuttavia vi erano molto testimoni tra forze militari limitrofe, personale medico sul campo, testimoni e soprattutto vittime. I documenti desegretati del Ministero della Guerra americano documentano e confermano la capacità di condurre una guerra chimica dell’Italia. Il rapporto riporta come siano state impiegate contro le forze etiopi 4336 bombe aeree riempite di iprite e 540 bombe aeree piene di difenilcloroarsina. L'Italia ha mantenuto strutture di stoccaggio in Libia a Benghazi e Tripoli durante la guerra contro l'Etiopia (10).

È c’è un aspetto legale di assoluta importanza per cui l’intera vicenda non può essere derubricata come un affare legata alla gioventù del giornalista toscano.

L’Imperatore Sélassié disse nel suo discorso:

[..] Affermo che la questione oggi all'esame dell'Assemblea è molto più vasta: non si tratta soltanto di emettere un giudizio sul problema dell'aggressione italiana. È un problema di sicurezza collettiva, della stessa esistenza della Società delle Nazioni, della fiducia riposta dagli Stati nei trattati internazionali, della promessa fatta ai piccoli Stati secondo la quale la loro integrità e indipendenza saranno rispettate. Si tratta di una scelta tra il principio dell'eguaglianza tra gli Stati e della imposizione alle piccole potenze dei legami del vassallaggio. In una parola, la questione riguarda la moralità internazionale. Forse che le firme apposte ai trattati internazionali hanno valore soltanto fino a quando le potenze firmatarie hanno un interesse personale, diretto ed immediato?

Il povero imperatore non raccolse il consenso che sperava ed ebbe 23 voti contrari, uno a favore e 25 astenuti. La vicenda fece perdere credibilità alla Società delle Nazioni, e il governo di Roma, galvanizzato dal risultato, cercò di infierire ulteriormente cercando presso l’istituzione internazionale che aveva appena mortificato qualsiasi forma di riparazione anche morale, che però fu negata. Una mossa decisamente azzardata che aveva tuttavia lo scopo di legittimare poi l’uscita dell’Italia dalla Società delle Nazioni come annunciò poi Mussolini l’11 Dicembre 1937. Per la storia giuridica dell’Italia questo episodio certamente rappresenta il punto di basso. Non era certamente il solo paese all’epoca ad aver agito in modo non convenzionale, poi in uno scacchiere dove vi erano potenti imperi e corporazioni transnazionali, tuttavia abbiamo sconvolto equilibri politici mondiali con baldanza e cupidigia lasciando alle spalle rivoli di sangue.

Alla fine del secondo conflitto mondiale, con il Trattato di Parigi del 1947 di cui l’Etiopia è controparte, lo Stato Italiano formalizzò la rinuncia di tutte le colonie ammettendo così implicitamente l’illegalità dell’annessione del 1936, di cui è bene ricordare non vi è mai stato nessun riconoscimento formale a livello internazionale. Piccoli dettagli.

Pressato dal De Boca, e visionato i documenti desegretati italiani, Montanelli, chiederà scusa (11) dicendo:

[..] lei (Del Boca) mi ricorda l'impegno che nella nostra amichevole polemica io avevo preso di chiedere scusa ai lettori nel caso in cui dai documenti fosse risultato che i gas furono effettivamente usati, eccomi pronto ad assolverlo riconoscendo che i documenti mi danno effettivamente torto. Essi dicono che i gas furono effettivamente usati, come lei ha scritto nella ricostruzione storica di quella impresa. Ma siccome lei a sua volta riconosce la mia buona fede, mi permetta di ribadirla. Lei sa che non ho negato l'uso dei gas per riscattare e nobilitare quella impresa di cui, dopo avervi partecipato con tutto l'entusiasmo dei miei vent'anni, non aspettai nemmeno la fine per rendermi conto del suo anacronismo e su quale catastrofica strada stava avviando il nostro Paese. No, negavo i gas semplicemente perché, sul posto, non li avevo visti né sentiti.

È curioso constatare come sia facile scrivere libri su libri di periodi che non si è vissuto, per poi risultare così ignavi di fronte all’odore di carne marcia e la ragione della tua divisa in territorio di guerra. È chiaro che Montanelli guardasse dall’altra parte. Prima, durante e dopo il conflitto.

Credo sia evidente che se l’uomo non è in malafede (e dedito a creare la palude per sguazzarci dentro), rappresenti senz'ombra di dubbio un chiaro esempio di dissonanza cognitiva. Nelle sue parole c’è troppo ego, troppo sussiego, troppo per una storia più grande di lui e di cui lui accidentalmente è finito per diventare una testimonianza marginale.

La sua colpa e, si badi bene, dei suoi cortigiani, è di aver reso una storia più grande di loro una chiacchiera da salotto da consumarsi preferibilmente con i soliti compagni di merende.

Proteggere Montanelli ha significato ridimensionare i soprusi perpetrati dalle forze colonialiste italiane in Africa Orientale e Occidentale, il feticismo e la violenza che hanno generato e che si sono trascinati negli anni successivi anche nei confronti della povera Micia. Per non menzionare come queste vicende implicitamente lascino intendere che gli “africani” siano insensibili o abituati al dolore, che vivono in uno stato di violenza permanente, che la sofferenza trasmessa in ogni pubblicità e notiziario è quotidiana, che per redimerli occorre salvarli, esattamente come ha fatto Montanelli.

Chi difende Montanelli non sa quanto questa eredità possa essere pesante per tutti quei cittadini italiani di origine africana in Italia e le loro famiglie, in particolar modo la negazione e il travisamento della loro indignazione come un capriccio fuori tempo.

Montanelli è il simbolo di un’Italia vecchia, in decomposizione, irresponsabile, i cui canuti rappresentanti godono di uno strapotere patrimoniale e politico. Hanno valori sideralmente opposti ad una parte di Italia più giovane e impoverita che semplicemente non ha il peso sociale ed economico per controbattere questa immoralità, questa offesa all'onore, al buon senso.

Non è possibile presentare Montanelli come il massimo che l'Italia abbia saputo produrre. Non è vero. È un'assurdità. Che la statua rimanga. Che i suoi scritti rimangano. Non ci venga però rifilata la storia che la sua gioventù da bullo sia stata la norma, che lo deve essere ancora oggi, o che non dobbiamo stigmatizzare parole deplorevoli, condotte degenerate e assurgere il trasformismo, l’arroganza e la colpevole incoscienza come ideali di una compiuta partecipazione alla società civile.

Questo episodio non può continuare ad essere il nostro presente o immaginare che tali panni sozzi di sangue possano essere eredità per gli Italiani di domani. Possiamo disporre ancora del futuro?

Guardando i pacchi di pasta a tavola, il futuro è ancora ostaggio del passato, purtroppo. La Molisana agli inizi del 2021, pubblicizza i suoi prodotti in questo modo:

"Negli anni Trenta l’Italia celebra la stagione del colonialismo con nuovi formati di pasta: Tripoline, Bengasine, Assabesi e Abissine. La pasta di semola diventa elemento aggregante? Perché no! […] Di sicuro sapore littorio, il nome delle Abissine Rigate all’estero si trasforma in “shells”, ovvero conchiglie”.

Non so chi sia il responsabile della comunicazione commerciale, o quale agenzia avesse questa responsabilità, chiunque abbia scritto questo è andato anche oltre dicendo delle Tripoline n.68:

“Il nome evoca luoghi lontani, esotici ed ha un sapore coloniale”.

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Non importa cosa dice l’ANPI perché non è il principio di autorità che deve prevalere in questo discorso per assolvere chi può solo essere biasimato ma certamente non difeso. L’ignoranza, l’auto-assoluzione e la totale indisponibilità a confrontarsi con questa eredità sono la cifra di questa vicenda e di molte altre, perché sarebbe miope e disonesto non riconoscere quante cose in Italia vengono nascoste col silenzio al di là dell’aggressione imperialista. Oggi diciamo "È successo un Amba Aradam!", ma Amba Aradam è teatro di una delle più violente scene di guerra di cui si è resa protagonista il Regno d'Italia. Qualcuno direbbe mai oggi "È successo un Auschwitz"? Perché è la stessa identica cosa. Andiamo oltre le lotte tribali tra fascisti e comunisti, io guardo l'ignoranza fomentata dalla voglia di esaltare stragi perché romanticamente passate come eroiche. E poi quella tendenza a derubricare qualsiasi evento truce in Africa portato dall’Europa imperialista come necessario e salvifico. Perché queste cose succedono sempre. Oggi è La Molisana, ieri l'Assessore all'Istruzione della Regione Veneto, domani non so chi. Il punto è parlarne. Degli Ebrei italiani sono tutti disposti a versare qualche lacrima perché li si riconosce Italiani; di gente trucidata in Libia e violentata e gassata in Etiopia mai, questo è il mio problema con la parte arrogante del paese che ci vuole imporre questa doppia morale e la sua omertà.

Perché dinnanzi questi occhi vecchi, stanchi e arroganti, c’è lo stesso corpo nero che subisce la stessa indifferenza, la stessa malizia e lo stesso oltraggio.

Vale la pena ricordare le vicende della povera, Laura, una bimba italo-eritrea. Laura è stata spedita in un istituto gestito da missionari italiani (12). Lei, e tanti altri bambini non riconosciuti, venivano istruiti all’Italianità perché in questi cosiddetti meticci il Ministro delle Colonie De Bono vedeva “un elemento di profonda irrequietezza” e potenzialmente dei soggetti sovversivi potendo mettere in crisi la legittimità dell’istituzione e del potere coloniale essendo semplicemente in vita. Ebbene, questa bambina di dieci anni, mentre giocava con i sassi, si è vista arrivare un colpo da una suora che le ha fatto sbattere la testa a terra. La bimba si arrabbiò e insultò la suora e lo fece in tigrino. La religiosa non porse affatto l’altra guancia. Aiutata da altre tre consorelle, inseguirono la piccola donna, la costrinsero a letto supina con la forza, le tennero ferma la testa, ne squassarono le guance, e la suora insultata ebbe la sua rivincita tagliando con delle forbici la punta della lingua della malcapitata. Una punta di carne insanguinata che ebbe cura di porgere poi alla vittima dentro un fazzoletto.

Purtroppo oggi c’è chi ancora taglia la lingua in Italia. C’è chi ruba la parola. C’è chi avvelena i pozzi. C’è chi crea la palude per sguazzarci dentro.

C’è chi fa argomentazioni sessiste e razziste spacciando la consuetudine e la boria di un tempo come un qualcosa da accettare ancora oggi. Senza opposizione. Con il solito sorrisino compiaciuto e spocchioso del privilegiato. Tuttavia noi dobbiamo essere come Laura. Dobbiamo essere come Laura e fare molto di più: parlare la lingua di chi cerca verità e riconciliazione ma porre dei limiti a chi ci vuole imporre un’identità, un’etichetta, un futuro che non ci appartiene. L’Italia ha un’eredità storica che non si condensa nel solo Ventennio, e forse bisognerebbe anche cercare di essere all’altezza dei tanti modi di essere uomini e donne che questo paese è stato in grado di produrre nel corso dei secoli, senza intestardirsi su un tempo che non ci chiede nulla se non di essere ben ricordato e mai più insabbiato.

In onore a questa memoria così irrisa e insabbiata, porgo le mie mani. E strette tra le mie dita un mazzo di gigli.

BIBLIOGRAFIA
1. GENDER AND SEXUAL ABUSES DURING THE ITALIAN COLONIZATION OF ETHIOPIA AND ERITREA
THE “INSABIATTI”, THIRTY YEARS AFTER by Fabienne Le Houérou PAG 10-11-12-13
https://hal.archives-ouvertes.fr/hal-01373824/document

2. LA VERA STORIA DI FACCETTA NERA
https://www.internazionale.it/opinione/igiaba-scego/2015/08/06/faccetta-nera-razzismo

3. VENETO, ASSESSORA CANTA “FACCETTA NERA” IN RADIO, POI SI SCUSA. ZAIA: “DOVEROSO”
https://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Veneto-assessora-canta-Faccetta-nera-in-radio-poi-si-scusa.-Zaia-doveroso-c7f5c459-1cf9-4e94-8cff-a99904b89901.html?refresh_ce

4. LILI MARLENE - LA GUERRA DEGLI ITALIANI (2020) DI PIETRO GUBER
https://www.mediasetplay.mediaset.it/documentari/lilimarlenelaguerradegliitaliani_b100003282

5. L’ITALIA DEL NOVECENTO. DALLA SCONFITTA DI ADUA ALLA VITTORIA DI AMAZON. PAG. 163-164-165
https://nationalpost.com/news/world/mobs-kill-at-least-seven-foreigners-after-zulu-king-says-south-africa-should-be-purged-of-lice

6. MONTANELLI RAZZISTA? SECONDO LO STORICO DEL BOCA «QUEL MATRIMONIO È UN ATTO DI INTEGRAZIONE»
https://www.rollingstone.it/politica/montanelli-razzista-secondo-lo-storico-del-boca-quel-matrimonio-e-un-atto-di-integrazione/521513/

7. MARCO TRAVAGLIO DIFENDE INDRO MONTANELLI: "NON ERA UN PEDOFILO. AMAVA QUELLA RAGAZZINA, VOLEVA DIVENTARE ABISSINO E SI ADEGUÒ A UNA TRADIZIONE"
https://m.famigliacristiana.it/articolo/marco-travaglio-difende-montanelli-lui-pedofilo-e-stupratore-bisogna-contestualizzare-amava-quella-ragazza-voleva-diventare-abissino-e-si-adeguo-a-una-tradizione.htm

8. DISCORSO DELL’IMPERATORE DI HAILÉ SÉLASSIÉ A GINEVRA PRESSO LA SOCIETÀ DELLE NAZIONI NEL 1936
a) http://www.polyarchy.org/basta/documenti/selassie.1936.html
b) https://www.mtholyoke.edu/acad/intrel/selassie.htm

9. ETHIOPIA 1935-36: MUSTARD GAS AND ATTACKS ON THE RED CROSS, 13-08-2003 Article, Le Temps, by Bernard Bridel
https://www.icrc.org/en/doc/resources/documents/article/other/5ruhgm.htm

10. THE USE OF CHEMICAL WEAPONS IN THE 1935-36 ITALO-ETHIOPIAN WAR PAG. 4
https://www.sipri.org/sites/default/files/Italo-Ethiopian-war.pdf

11 .LE CARTE MI DANNO TORTO
LETTERA A MIELI DI ANGELO DEL BOCA, LETTERA RISPOSTA DI MONTANELLI
https://www.bresciaoggi.it/home/cultura/lealt%C3%A0-di-indro-montanelli-le-carte-mi-danno-torto-1.3978509

12. MADRI NERE, FIGLIE BIANCHE. FORME DI SUBALTERNITÀ FEMMINILE IN AFRICA ORIENTALE ITALIANA, PAG .175-176
https://www.academia.edu/10649737/Madri_nere_figlie_bianche_Forme_di_subalternit%C3%A0_femminile_in_Africa_Orientale_Italiana_Black_Mothers_White_Children_Expressions_of_Subaltern_Identities_in_Fascist_East_Africa_