Puttaneggiar coi regi

Fotografia: Maarten van den Heuvel

Fotografia: Maarten van den Heuvel

In Italia abbiamo un numero consistente di persone che per via della loro età, della rendita accumulata, delle obiettive condizioni degli ultimi cinquant’anni a livello amministrativo, lavorativo, sociale, culturale, contrattuale ed economico gode oggi di molte più risorse di quanto possano essere disponibili ad un uomo o donna adulta che si affaccia nella società di oggi.

A quali obiettive condizioni favorevoli faccio riferimento? Innanzitutto, aver goduto della fase discendente della supremazia occidentale sul resto del mondo (1) dopo una egemonia mondiale che si è sviluppata per ben cinquecento anni. Le imprese potevano produrre beni e servizi ed esportarli nel resto del mondo; infatti molti paesi, levatisi dopo la presa mortifera dell’imperialismo europeo (processo durato per quasi cinquant’anni dopo la fine della seconda guerra mondiale) non erano in grado di proporre sul mercato una reale alternativa (2) e inoltre i paesi occidentali hanno goduto di accesso facilitato a molti mercati esteri anche di quei paesi che con la forza si sono visti costretti ad aprire le dogane.

Per l’Italia è stato facile approfittarsi del decollo economico degli altri paesi europei, ricostruirsi e cercare di imporsi una via di sviluppo potendo attingere dall’esperienza sia capitalista di stampo anglo-sassone sia sovietico.

La Guerra Fredda vedeva fronteggiarsi il mondo russo e americano. Era un periodo di forti tensioni sociali: il terrorismo di Stato in Italia e la paura che si potesse arrivare ad un conflitto nucleare fuori dai confini. Ancora oggi molti amano vedere la Russia secondo le lenti di quel periodo: una potenza spaziale, nucleare e comunista bellicosa. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la Russia e il mondo sono molto cambiati ma nell’immaginario di chi ha vissuto quegli anni, lo spettro dell’Unione Sovietica resiste ancora.

Tuttavia c’è stato un altro avvenimento che nel dopoguerra ha segnato l’economia di gran parte del cosiddetto mondo occidentale e della sua sfera di influenza: l’entrata delle donne nel mercato del lavoro. L’entrata delle donne nella forza lavoro è certamente uno degli eventi più significativi del secolo scorso.

In Italia nasceva quindi con il suffragio universale e sulle macerie della guerra, la Repubblica Italiana. L’avvento della Repubblica aveva soppiantato la monarchia e i suoi privilegi:

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
— Articolo 1 della Costituzione della Repubblica Italiana

I padri costituenti non intendevano assolutamente dire che lo Stato deve garantire il “posto fisso” ad ogni cittadino come persone poco raccomandabili sono soliti interpretare l’articolo (3). Affermare che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro significava dire che in un paese dove privilegi nobiliari e familiari erano prevalenti e determinavano la mobilità sociale, il lavoro del singolo sarebbe stato nell’ordinamento repubblicano il fattore determinante la posizione dell’individuo nella società.

Ovviamente questo ha creato nell’immediato dopoguerra importanti questioni perché seppur erano aboliti i titoli nobiliari, erano ancora forti i poteri dei privilegiati nei confronti di masse impoverite alla ricerca di riscatto. Tratto della società italiana di allora è quindi l’impegno politico e il conflitto di classe. Oggi è impensabile pensare che uno sciopero a Roma possa seguirne un altro di solidarietà a Torino; meno che mai aspettarselo dai “giovani”, questo tuttavia è il mondo che fu e che appare offuscato per coloro nati nell’ultima decade del secolo scorso e totalmente alieno ai figli del nuovo millennio.

Gli adulti di oggi e quelli più anziani conservano i tratti di questo periodo, di questa sorta di tribalismo politico e sociale e sanno ben articolarlo. Conoscono cosa siano i rapporti di forza avendoli subìti o per essersi posti al timone, e il conflitto è un aspetto fondamentale della vita e prenderne coscienza scandisce il passaggio dall’adolescenza alla maturità.

Oggi tuttavia il conflitto è stato anestetizzato in Italia. Non c’è un conflitto sano e fecondo. Il dissenso è diventato un belare che non mette in questione nessuna tenuta e l’eterno presente rimane il solo orizzonte da contemplare.

Questo aspetto molti tra gli adulti in Italia lo nascondono colpevolmente e questo non per esonerare i cosiddetti “giovani” dalle loro responsabilità, tuttavia credo che forze egemoni stiano dirottando “i giovani” lontano innanzitutto dai loro giusti interessi e, soprattutto, dal farli valere.

Ma chi è “giovane” oggi?

Ammettiamola per una buona volta questa chiara e cristallina verità, a scanso di equivoci: non si è più giovani a vent’anni, si è adulti, meno che mai a trentacinque anni. Ti chiamano giovane perché è più facile non considerarti adulto, così una parte consistente della società che invecchia non è costretta a dover competere con te nel mercato del lavoro. Lo Stato, e con esso la società tutta, ti considera giovane perché dal punto di vista retributivo non puoi provvedere per te stesso, anzi è stato voluto che tu non possa provvedere a te stesso. Una categoria inventata, assurda e puramente di comodo per veicolare dei messaggi che certamente non vanno a beneficio di coloro che subiscono questa etichetta.

Infatti, parcheggiati nelle università alcuni e nella depressione o nella povertà altri, lo scenario italiano è dominato da alcune vecchie generazioni che si sono accaparrati un’egemonia pervasiva e assolutamente dannosa e annichiliscono con ogni mezzo qualsiasi tentativo di cambiarlo: nei rapporti di forza risultano vincitori, e noi adulti risultiamo sconfitti.

Si fosse scaricato la “flessibilità” a tutti i lavoratori, il solo licenziamento sarebbe andato bene. Non sei adeguato, ti fai da parte e vai da un’altra parte. Questo tuttavia accade solo ai cosiddetti “giovani italiani” e i “vecchi italiani” seguono altre regole, più corporativiste, dove la competenza è l’ultima cosa che viene considerata e la sudditanza il solo valore della gerarchia.

La società italiana, quella vecchia, ha una presa perniciosa su qualsiasi agente di cambiamento nella società. L’inadeguatezza di questo dominio senile purtroppo si manifesta sul piano culturale. L’Italia è culturalmente improduttiva e arretrata. Ci sono ben localizzate eccezioni e individui particolari tuttavia lo scenario generale è assolutamente sconfortante. La cultura in Italia è indottrinamento. La scuola ti indottrina. Non ci sono parametri oggettivi su cui è possibile porre uno sforzo e quindi avere un risultato commisurato allo sforzo profuso, ben presto si impara l’intrigo, la manipolazione e l’inculcamento. E non si può parlare di Italia senza inquadrare il Bel Paese nel mondo ma il mondo è una figura caricaturale di sfondo. Siamo un paese che ha rinunciato a descrivere il Ventunesimo secolo e il suo mondo nella lingua di Dante. Un paese dove culturalmente il 1950 è più vicino del 2050. Un paese dove tutto è vissuto come se fossimo sempre agli inizi del secoldo scorso. Sembrerò crudele tuttavia non possono non venirmi in mente il superficiale dibattito sul fine vita che ha coinvolto Piergiorgio Welby, la banalizzazione di un riconoscimento legale alle coppie omosessuali, la fallita riforma della legge sulla concessione della cittadinanza italiana con la forzata associazione all’immigrazione clandestina, lo scomposto delirio nei confronti della riforma della pensioni targata Fornero e, non ultimo, la mancata riforma del mercato del lavoro affinché tuteli davvero chi lavora e non “il posto di lavoro”. Tutto questo è figlio di accademie e di una scuola resa autoreferenziale che non ha né l’ambizione né la pretesa di ricadere sulla realtà (4) e che trova come sola utilità sociale ed economica, sfornare masse di defraudati pronta ad essere sfruttata illimitatamente e a continuare a consolidare chi una posizione già ce l’ha. Purtroppo gli adulti dai diciotto ai quarant’anni non sono ben rappresentati negli organi politici. Qualcuno potrebbe dire che qualche politico intorno a questa fascia di età c’è e che quindi la mia è una sterile e inutile polemica; tuttavia io parlo degli interessi collettivi di queste categorie che purtroppo non sono rappresentate affatto bene e non sono colpevolmente poste come priorità del paese perché chi vota manda in Parlamento coloro che tutelano i suoi interessi, a prescindere dall’età, nascondendo la testa sotto la sabbia di fronte i veri problemi.

La questione salariale

Si guadagna poco pur lavorando troppo e godendo di poche garanzie. Un contratto a tempo indeterminato stipulato da un “giovane” non sarà mai al pari di quello dei suoi genitori ed è assurdo vivere in un contesto dove anche solo affittarsi una casa è un lusso che non ci si può permettere o che per chiedere qualsiasi prestito bisogna avere la garanzia dei contratti e dei beni dei propri genitori. Se intendiamo come unica fonte di reddito quello derivante da lavoro salariato possiamo stare certi che il credito sarà certamente scarso, tuttavia l’accesso al credito è oggi più facile grazie ad una serie di strumenti digitali che rendono facilissimi i pagamenti e quindi le opportunità di guadagno mettendosi anche in proprio. Tuttavia sei tassato dallo Stato e il lavoro è talmente radicato concepirlo come una rendita che è diventato un malcostume che dovrebbe quasi configurarsi come crimine specifico non pagare le persone. Il lavoro è tale se vi è compenso, dove entrambe le parti hanno beneficio, ma se io lavoro per qualcuno e non percepisco nessun compenso, non sto lavorando per me ma sto lavorando per qualcun altro, e quella è la definizione di schiavo.

Per riequilibrare questo stato di cose le fasce più impoverite della società devono organizzarsi e proporre a livello sociale strumenti contrattuali che possano garantire un mercato del lavoro che dia valore alle competenze e alle tutele e non all’arroccamento e all’accentramento di manodopera a basso costo ipersfruttata e alla produzione di scarso valore. Il vero dramma in Italia non è perdere il “posto di lavoro” ma non avere alcuna alternativa. E soprattutto essere vittima di una proliferazione di contratti che aumenta la discriminazione contrattuale, lo sbilanciamento del potere di negoziazione e la segregazione lavorativa. Incrementare lo stipendio, essere più produttivi nel mondo del lavoro e avere tutele e poter correggere la triste traiettoria presente è l’interesse supremo e nazionale di quelle persone che sono destinate a vivere più a lungo in Italia. L’allucinazione di una parte della popolazione con simpatie in una sinistra che non è più sinistra, parla sempre in termini conservatori perché l’unica soluzione possibile per lor signori è ritornare al passato, ossia ritornare all’articolo 18 e altri strumenti che sembrano non guardare assolutamente al problema dei lavoratori e degli inoccupati di oggi, e la sola cosa che sembrano dire è proporre tutto ciò che ha contribuito allo squilibrio cui assistiamo oggi.

Il rapporto della commissione europea (5) afferma in un commento del Jobs Act che:

La legislazione in materia di protezione del lavoro dei nuovi contratti permanenti è ora allineata a quella dei principali paesi europei, sebbene rimanga più restrittiva rispetto alla media OCSE, secondo quanto disponibile da raffronti internazionali.

L’accennata perplessità viene approfondita poco dopo esponendo quello che ci si attende dall’Italia in un eventuale futuro:

Nel medio periodo, la nuova legislazione sulla protezione dell’occupazione (la cui validità è limitata alle sole nuove assunzioni) potrebbe essere più efficace se venisse estesa quanto più possibile ai contratti a tempo indeterminato preesistenti. L’esenzione, che poteva essere giustificata durante una recessione per limitare un possibile impatto negativo della riforma sull’occupazione, e meno giustificata durante la ripresa. Inoltre, tale restrizione potrebbe condurre a nuove forme di segmentazione nel mercato del lavoro a danno, ancora, della giovane generazione. L’esenzione ritarda significativamente il potenziale impatto della riforma sulla riallocazione delle risorse. La ricerca dimostra che il rilassamento delle protezioni sull’occupazione quando l’economia è in crescita ha limitate conseguenze sui livelli di occupazione e disoccupazione. Tali impatti sono ulteriormente ridotti se si pongono in essere strategie adeguate.

Nessun governo avrà la forza politica di portare alle estreme conseguenze quello che non solo queste raccomandazioni ma le nostre stesse condizioni ci impongono. Un governo politico eletto e voluto da anziani fisso al breve periodo e al proprio patrimonio (6) con annessi altrettanti “giovani anziani” cooptati nel sistema non potranno mai proporre un tale cambiamento, tuttavia questa è la strada non percorsa ed è quella che dobbiamo percorrere. È la sola vera opposizione. Ed il solo modo per essere di sinistra nella misura in cui la si identifichi come la parte nella società che nei rapporti di forza risulta sconfitta e che ha bisogno di una voce che tuteli i propri interessi. Questa è una nota da ricordare nelle prossime elezioni.

La questione degli immobili

Oggi essere indipendenti significa condannarsi nemmeno alla povertà ma alla miseria. Sei povero quando non hai soldi, sei misero se oltre a non avere i soldi sei anche disperato. E oggi è facile esserlo. Non si guadagna abbastanza per essere tranquilli nel pagare l’affitto di una camera, figuriamoci di un intero appartamento. Non a caso una volta il diritto di voto era legato alla proprietà perché se possiedi qualcosa hai molto più interesse a partecipare alle discussioni che la riguardano. Molti si chiedono come mai molti “giovani” non votano, ebbene, cos’hanno da difendere? Cos’hanno da tutelare? Di materiale ben poco. E la questione abitativa è cruciale e si lega a quella salariale perché è con l’affitto di una camera o di un appartamento che inizi ad organizzare la tua vita adulta ma legarla in continuazione ad lotta per la sopravvivenza o ad un miraggio in mezzo al deserto certo non sono certamente vie percorribili. Gli affitti sono alti per due motivi.

  • Tassazione

Tutti i governi fino ad ora hanno voluto che gli affitti fossero alti, infatti il “reddito da affitto” va a cumularsi a quello normale ed è soggetto ad una aliquota che è per lo meno del 25%. Anche sforzandosi di ridurlo al 20% non cambierebbe molto. La differenza tra un affitto e un reddito da lavoro dipendente è però che la tassazione sull'affitto è interamente scaricabile sull'affittuario

  • Morosità

Il rischio che ci si assume nell’affittare una casa e quindi il rischio di morosità. La lentezza della giustizia italiana di tutelare la proprietà private fa sì che il rischio si paga con un aumento del premio di affitto.

Lo Stato dovrebbe spingere coloro in età da lavoro ad avere casa o ad affittarne una senza che questi individui possano sacrificare tutto il loro reddito con la scusa che “tanto hanno i genitori” o perlomeno non partire dal presupposto di avere una platea di soggetti che guadagna mensilmente cifre ben al di sopra della media e che gli stessi possono solo immaginare.

La questione del risparmio

Ho maturato la convinzione che non c’è cosa più intelligente da fare oggi per un “giovane” che sfruttare il più possibile la stabilità derivante dai contratti a tempo indeterminato dei genitori. I genitori rappresentano un ottimo rifugio per potersi azzardare a fare quello che si vuole, mettere i soldi da parte ed incrementare il proprio risparmio. Bisognerebbe insegnare poco prima della fine del liceo e già in famiglia che non c’è nulla di intelligente di studiare e non avere nulla in risparmio. Come se ogni tua attività debba ricadere sempre per intero sul lavoro degli altri. Non è così che va il mondo. E oggi ci sono molti strumenti bancari per cominciare a mettere qualcosa da parte ed è bene cominciare subito.

La questione dello studio

Oggi stare dentro un’accademia per troppo tempo non ha alcun senso come nemmeno lo ha starci troppo poco senza poter lavorare. Combinare il lavoro e lo studio è un’attività che dovrebbe accompagnare la vita di qualsiasi onesto cittadino in un paese civile. Lo studio universitario è usato come pretesto per nascondere gli aspetti pratici della vita e che qualsiasi adulto è necessario abbia per sé stesso: immaginazione e organizzazione. Il rischio concreto è di finire di studiare senza aver testato tutte quelle difficoltà proprie di chi ha cercato lavoro, lavora e ha delle spese. Non si può pensare di arrivare a prendere coscienza di tutto questo a trent’anni. E meno che mai si può studiare “per inerzia” senza alcun progetto o visione per il futuro solo con la pigra convinzione che magari in futuro di conquistare il giurassico posto fisso. Ed è ancora più sciocco pensare che lo studio riguardi solo la fascia “giovane” della popolazione e non anche quella più anziana (7), in modo orribilmente paternalista la società è convinta che l’istruzione riguardi solo ed esclusivamente gli anni giovanili; invece lo studio riguarda tutti fino alla fine dei propri giorni. Uno dei più grandi problemi in Italia e di aver avuto persone che per decenni hanno occupato “un posto di lavoro” senza essere ulteriormente istruita. Questa tragica distorsione è testimoniata da tutto il comparto artistico del paese. La gente non legge, non si interessa alla musica e alle arti. E tutte le principali fondazioni, associazioni che ruotano a questo mondo sono perennemente in rosso (anche lì per il modo classista e autoreferenziale con cui si guarda l’arte). Una volta che lo scenario è mutato, queste persone si sono ritrovate a condurre una lotta senza quartiere per avere le stesse condizioni precedenti ma senza istruirsi, o senza che gliene fosse data l’opportunità visto che i governi, che loro stessi hanno votato, si sono concentrati a mantenere tutto quello che guadagnavano senza pensare a come produrre ricchezza e mantenere valore.

La questione sindacale

Il dramma del sindacato e della sinistra e che è diventato un club esclusivo di persone che di lavoro ne hanno solo parlato. Dove essere baluardi della fasce subalterne, ossia di quelli che risultano sconfitti nei rapporti di forza, non è una sterile tifoseria da stadio. Bisogna articolare bene i propri bisogni e bisogna associarsi per tutelarli, e il sindacato dovrebbe servire a questo. Oggi essere a sinistra è diventato un bavoso “volemose bbene”, una casacca da stadio per assistere destra contro sinistra, non come due entità che portano due interessi e sguardi sulla realtà. Oggi la destra e la sinistra si sono sovrapposti. Sono uguali. Perché la fascia più anziana ha in blocco le stesse rivendicazioni, le stesse pretese e gli stessi interessi da preservare. Un blocco che nemmeno rappresenta gli interessi della Nazione. E sono loro tuttavia che vanno a votare e che avanzano rivendicazioni. Un blocco che ha favorito il taglio di scuola, cultura, impresa per aumentare sempre di più l’insostenibile spesa pensionistica. Purtroppo si è troppo concentrati a pensare a sé stessi senza capire che nella società molte persone possono avere problemi simili ai nostri, e dovremmo associarci perché nella società i problemi non si risolvono da soli, bisogna fare gruppo. E non essere cannibali e pensare che il fallimento altrui possa essere un possibile vantaggio per noi come tristemente fanno in tanti condannando sé stessi e gli altri alla miseria rendendo vincente e trionfante la classe egemone.

La questione previdenziale

È diventato un luogo comune dirlo, tuttavia le pensioni in futuro saranno assai magre e oggi, con la forza lavoro sempre più piccola e con una platea di pensionati che si allarga sempre di più, la questione è assolutamente seria. Occorre innanzitutto sapere che il sistema pensionistico ha avuto due maggiori riforme e hanno un tratto comune molto importante: sono due riforme varate da due governi tecnici. Nessun governo politico si è assunto questa responsabilità e questo dettaglio la dice lunga su una questione che è molto più simile ad una rapina a mano armata che ad un’organizzazione responsabile della società. Cerchiamo di capire questo punto. Le pensioni vengono finanziate dai contributi che i lavoratori nel mercato del lavoro versano all’INPS e quindi allo Stato. Nel prossimo futuro in Italia saranno presenti molti più pensionati che lavoratori e la bassa natalità significa che ci saranno molti meno lavoratori che verseranno i contributi nelle casse dello Stato per i pensionati di domani. A ciò si aggiunge il fatto che tantissimi lavoratori in Italia hanno contratti atipici o lavorano in nero. Questi lavoratori versano poco nelle casse dell’INPS (perché giustamente devono anche mangiare) mettendo perciò da parte poco o nulla; non hanno la possibilità di avere e alimentare un fondo di previdenza complementare ma nemmeno possono sperare che la futura forza lavoro possa venire incontro alle loro esigenze. Trovo quindi paradossale gli adolescenti e i giovani adulti parlino delle pensioni da fame dei loro nonni senza nemmeno considerare le loro tasche, il loro futuro o perlomeno il bilancio dello Stato. La spesa pubblica per quanto riguarda le pensioni è l’unico capitolo di spesa nel bilancio dello Stato che continua a crescere indisturbato. La questione non è avere la pensione ma permettere a tutti di avere la possibilità di lavorare, guadagnare e poter mettere qualcosa da parte perché, sorprendentemente, anche “i giovani” invecchiano. Il punto quindi non è avere la “pensione”. Non è avere la rendita. Ci sono stati politici che hanno cavalcato la folla al grido di “alzeremo le pensioni”. Anche chi diceva di non volerlo fare. Ma è proprio qui che si nota la convergenza degli interessi dei vecchi in Italia. Una visione senza futuro. Non controbilanciata da nessuna previsione. Finalizzata al soddisfacimento certo e immediato di breve periodo e magari chiamandolo “diritto acquisito” massacrando i “giovani”, i loro nipoti, senza tanti complimenti. I più furbi penseranno a “sistemare qualcuno” tuttavia questo inefficiente “trasferimento di ricchezza privato” non solo renderà meno autonoma e indipendente le azioni di un figlio o di una figlia ma di certo non favorisce una società giusta che possa garantire a tutti occasione di un tetto sulla testa, di un lavoro, di ristoro, di educazione, di solidarietà, di giustizia e di libertà.

La questione della natalità

La società essendo formata da vecchi che generalmente hanno generato chiaramente non è particolarmente incline a porgere l’orecchio per le esigenze dei bambini. Il bambino, semplicemente, non è della comunità in Italia. Il bambino è della donna. Potete sentirlo in televisione: "le donne italiane non fanno più figli". E se non è della donna, allora il bambino è della donna e del marito o compagno. La sacra famiglia da proteggere, ma che alla fine si preferisce abbandonare a sé stessa. Quando il bambino non è né della donna né dell’uomo, allora è dei nonni, per chi ce li ha. Insomma, il bambino non è mai della comunità. Questa distorsione senile è finita per manipolare anche la biologia. È naturale il desiderio di voler procreare ed è nell’interesse della comunità. Molti giovani adulti vorrebbero avere i figli ma non hanno la possibilità e la società certamente non li incoraggia in questa direzione. Ormai si è arrivati al paradosso di sentire alcuni “giovani” fare le stesse argomentazioni dei “vecchi”. Stando a casa, dipendendo i primi sempre troppo sui secondi, è chiaro che procreare non diventa una scelta nonostante la propensione sia alta mostrando che gli adulti italiani vorrebbero sì fare un figlio, e intorno a 28 anni di età e avere minimo due figli (8).

La nota sconvolgente è che abbiamo tutti in casa persone che non lavorano, che non guadagnano a sufficienza o che non vengono tranquillamente pagate e sono potenzialmente povere. Queste persone non hanno nessuno che li tuteli adeguatamente e sembra non si accorgano di questa assoluta necessità per la loro sopravvivenza mentre i loro nonni vestono più i panni del Conte Ugolino che mangia i figli.

La fuga di tanti cittadini dall’Italia è il giudizio chiaro e spietato della situazione. La gente semplicemente scappa. Ovviamente la televisione sforna racconti molto sdolcinati parlando di “geni”, “talenti”, “cervelli in fuga” come se l’Italia facesse un favore nel prestare questa manovalanza gratuitamente a paesi bisognosi come il Regno Unito, Singapore, Cina e Stati Uniti. Indubbiamente qualcuno sveglio ci sarà tra questi fuggitivi ma ignorare o vilmente nascondere la massa di persone che scappa dall’Italia per darsi un futuro, una speranza e un’autonomia facendo qualsiasi lavoro e facendo molti sacrifici tra cui, il più importante, lasciare dietro di sé i propri affetti, è un modo colpevole e vile di nascondere le proprie colpe (9).

Non auspico una dipartita della popolazione dai cinquanta anni su, ma che il rapporto di forza nel paese veda opporsi finalmente quella larga parte della società cui sono stati privati dei mezzi per poter agire, per potersi tutelare e per valere il proprio punto di vista. Gli anziani si sono presi troppo e le mancanze che molti di loro mostrano a tutti i livelli, pongono l’Italia come un paese stagnante, da cui non si può imparare nulla, che non può crescere, irriformabile.

Trovo molto interessante un passaggio del Doctor Faustus di Thomas Mann (10) che sviluppa quanto segue:

[..] L’idea di gioventù è un privilegio e una prerogativa del nostro popolo, il popolo tedesco .., gli altri, la gioventù, la conoscono appena, come senso di sé è per loro una realtà quasi sconosciuta, si meravigliano del comportamento tenuto dalla gioventù tedesca, enfatizzato nella sua essenza e approvato dalle generazioni più anziane, e si stupiscono pure dei suoi costumi ben poco borghesi. Lasciamoli al loro stupore! La gioventù tedesca rappresenta, in quanto gioventù, lo spirito stesso del popolo, lo spirito tedesco, che è giovane e gravido d’avvenire; immaturo se si vuole, ma che importanza ha! Le imprese dei tedeschi furono sempre compiute partendo da una certa, potente immaturità, e non per nulla siamo noi il popolo della Riforma. Anche quella fu un’opera dell’immaturità. Maturo era il borghese del Rinascimento fiorentino, che prima di recarsi in chiesa diceva alla moglie: “Andiamo dunque a riverire l’errore popolare!”. Mentre Lutero era immaturo abbastanza - popolo abbastanza, popolo tedesco abbastanza - da darci la nuova fede purificata. Dove mai finirebbe il mondo se la maturità avesse l’ultima parola! Noi, nella nostra immaturità, gli regaleremo ancora qualche rinnovamento e qualche rivoluzione.

In queste righe, facenti parte di un disegno che non è questa la sede di esplorare, ci aiutano a capire diverse cose. Nel parlare del popolo tedesco in questo passaggio Mann lo descrive giovane nella sua essenza e approvato dalle generazioni più anziane. Questo ci porta a chiarire un punto continuamente frainteso. Il conflitto intergenerazionale viene banalmente posto come un conflitto tra giovani e vecchi. Ho dovuto semplificare anche io la questione in ponendola su questi termini ma cosa significa essere giovane? Giovane è l’adolescente. Una volta superata la maggiore età si è adulti. È chiaro come il sole che man mano che procedi nella vita ci saranno persone più giovani di te. Usare la categoria dei “giovani” per indicare indistintamente persone con esperienze di vita che spaziano dai diciotto ai quarantacinque anni lo trovo assurdo. Anche questo è voluto, perché un giovane, un adolescente, è sempre sotto la responsabilità di qualcuno, è dipendente. E nella nostra società “i giovani” sono un problema dei vecchi da gestire per poterli sfruttare meglio. Meglio che non siano autonomi o che non pensino che per essere liberi debbano lavorare come ogni adulto responsabile. Sul concetto di lavoro è stata operata un’altra distorsione. Il lavoro, non determinando più la tua posizione nella società, è diventato in sostanza un elemento decorativo che non coincide più con il progresso e il lavoro deve coincidere con l’andare avanti. Deve coincidere con il progresso. Con il progresso di sé. Con il progresso degli altri, della società, del proprio spirito, delle proprie forze. E questo rende “giovani”, come la primavera, con l’avere nuove forze per andare avanti. E ci sono molte persone che conosco di gran lunga più grandi di me che sono sempre verdi. Hanno voglia di vivere, di cambiare e l’età ha donato loro nuove forze rinnovando tutte quelle che possedevano già. E conosco persone miei coetanei incredibilmente vecchi. E’ vecchio chi non muta, chi è rigido, chi non ragiona anche di fronte ai fatti. Anzi, considero i miei coetanei, e spero non la maggior parte, molto anziani. Accettano tutto passivamente. Il mondo in cui viviamo, l’Italia in cui viviamo come il mondo migliore possibile che non necessita di cambiamenti. Che bisogna sempre intenderlo con le categorie dei genitori che si picchiavano a scuola e facevano attentati terroristici su idee come destra e sinistra che oggi non hanno più senso di esistere per come quella generazione lo ha inteso, e quelle prima di loro. Ed è assurdo in un mondo dove le idee circolano prepotentemente contemplare questa chiusura. L’Italia deve essere giovane e gravida di avvenire. Dobbiamo smetterla di continuare “a riverire l’errore popolare”. Dobbiamo ristabilire una società dove le generazioni italiane non siano segregate favorendo soprusi ma che ci sia un dialogo che dia slancio e avvenire. Esperienza e vitalità. E che sia approvato dagli anziani, ben visto e che possano rispecchiare una propria continuità negli adulti nella società.

Basta osannare l’Italia anni ‘50 del Novecento. E’ quasi passato un secolo. Vogliamo osannare l’Italia 2050 specialmente per quelli che dovranno viverci, per quelli che ci saranno ancora, per quelli che trascendono il loro tempo. Bisogna smetterla di riformare l’Italia del 1950 in modo che si adatti agli anni e ad una realtà distante anni luce continuando ad indebitarla e sclerotizzarla. Ormai è tutto arido. Non cresce più nulla. Se c’è qualcosa che deve essere distrutto, che sia dimenticato.

Pasolini ha ragione quando dice che dobbiamo smetterla di usare le parole dei nostri nemici. Perché raggiungiamo ovviamente le loro conclusioni e non ragioniamo per noi, in maniera originale, perché quello serve. Nulla di quello che ci è stato insegnato ha in sé la soluzione per i problemi dell’Italia ma quello che possiamo fare con quello che abbiamo appreso qui, nel mondo, con la nostra energia e visione, ecco, lì risiede il seme di una nuova speranza.

C’è bisogno per gli adulti italiani di trascendere le obsolete categorie dei loro vecchi e controbilanciare questa loro arroganza degli ultimi uomini per rendere davvero l’Italia un paese vivo e dinamico, che possa sognare un futuro e avere le energie migliori per costruirlo, tutti insieme.

Ma tutto questo non avverrà. Perché questi signori possono sbagliare e non temere conseguenze. Non importa se non compri i loro giornali, se mostri un garbato dissenso o, ancora peggio, suggerire un’alternativa, no. Non interessa. Per questo fare bene il proprio lavoro è totalmente inutile in Italia. Non è richiesto e non è assolutamente voluto. Anzi, sei costretto a parlare come loro, ad agire in maniera scaltra, a farti sfruttare giorno e notte, a farti chiamare straniero quando tu in Italia ci sei nato, cresciuto o sei stato adottato, sentirsi gridare puttana perché non voi cedere ai ricatti, essere apostrofato scansafatiche perché ti sei fidato di quello che ti dicevano che poi si è rivelato una grande bugia, mediocre perché sei costretto a strisciare, sentirsi degli stupidi privilegiati nel chiamare lavoro un’attività giornaliera senza uno stipendio, oppure non scrivere, non denunciare, ma servire ossequiosamente i padroni del discorso, insomma eccoci. Noi. Come nel Trecento quando il Papato era asservito agli interessi della monarchia francese. Ora come allora a puttaneggiar coi regi.

BIBLIOGRAFIA
1. DANI RODRIK, LA GLOBALIZZAZIONE INTELLIGENTE PAG. 35-37, 156-157

2. NIALL FERGUSON, CIVILISATION, THE WEST AND THE REST

3. LAVORI PREPARATORI DELLA COSTITUZIONE ITALIANA, ARTICOLO UNO
BRUNI GERARDO
[..] essi hanno sempre tenuto a precisare come al «lavoro» non intendessero attribuire un valore esclusivamente economico e di semplice soddisfacimento di bisogni materiali, ma soprattutto il valore di mezzo della propria elevazione morale ed intellettuale e di strumento di concreto servigio verso i propri simili. Solo se inteso in tal modo, quale concreto legame sociale, che in sé attua il primato dello spirituale ed è distintivo dell'amore fraterno e della solidarietà tra gli uomini, il lavoro può essere assurto all'onore di costituire il fondamento di una Repubblica. Non altrimenti. Il fondamento, il mezzo, e certamente non il fine, come ho detto, del viver civile.Se è vero che all'uomo non è concesso — in via ordinaria — di poter dare una dimostrazione reale del suo attaccamento al mondo dei valori spirituali al di fuori del proprio lavoro, è anche vero che deve essere il mondo di quei valori a finalizzare l'opera umana.

ROSSI PAOLO
[..] Ma, sia ben chiaro, per rispondere alle preoccupazioni manifestate da alcuni oratori, dall'onorevole Crispo ieri, dall'onorevole Russo Perez poco fa, che i concetti «lavoro» e «lavoratori» sono intesi da noi nel senso più ampio, nel senso più umano. Non è la Repubblica degli operai e dei contadini quella che concepiamo, né quella degli operai e dei contadini più i tecnici e i professionisti; ma una Repubblica nella quale abbiano cittadinanza anche le attività non meramente economiche, una Repubblica, colleghi democratici cristiani e colleghi liberali, in cui ci sia posto per tutti i cittadini partecipanti utilmente alla vita nazionale.CONDORELLI ORAZIO[..] Si è detto qui: una Repubblica senza lavoro non può sussistere; argomento indiscutibile. Vi dico subito che io sento profondamente, non soltanto la nobiltà, ma la santità del lavoro, perché il più alto orgoglio della mia vita è di essere professore universitario, cioè un lavoratore che conosce l'aspra sudata e non remunerata fatica. E l'altro orgoglio della mia vita è di non aver nulla, che non sia frutto del mio lavoro e del lavoro di mio padre. Poi, io sento profondamente la santità del lavoro, perché sono cristiano e so che laborare est orare. Sento la nobiltà del lavoro perché sono italiano e so che il lavoro è l'unica ricchezza del nostro Paese, come ha dimostrato la tragedia in cui viviamo, nella quale, fra tanto disastro, si è verificato questo prodigio: che noi siamo ancora in qualche modo in piedi e che con la nostra lira si compra ancora qualche cosa. Questo è avvenuto perché la nostra economia è imperniata sul lavoro, che è una ricchezza che non si è potuta distruggere e non ci si è potuta espropriare. https://www.nascitacostituzione.it/01principi/001/index.htm?art001-022.htm&2
4. LUCA RICOLFI, LA SOCIETA’ SIGNORILE DI MASSA PAG. 56-70

5. THE RECENT REFORM OF THE LABOUR MARKET IN ITALY: A REVIEW, EU COMMISSION, PAGINA 36, 5. CONCLUSION
https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/economy-finance/dp072_en.pdf

6. BANCA D’ITALIA SUPPLEMENTI AL BOLLETTINO STATISTICO, PAGINA 9, 13 E 14
https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/indagine-famiglie/bil-fam2014/suppl_64_15.pdf

7. THE ROLE OF HIGHER EDUCATION IN PROMOTING LIFELONG LEARNING, PAG 67
https://iris.unimore.it/retrieve/handle/11380/836522/128358/MarianiMi233592e.pdf

8. ADDIO, MAMME: IN ITALIA E’ RECORD DI DONNE SENZA FIGLI (E LA COLPA E’ DELLA POLITICA)
https://www.linkiesta.it/2018/02/addio-mamme-in-italia-e-record-di-donne-senza-figli-e-la-colpa-e-della/

9. IN 10 ANNI L’ITALIA HA PERSO 250MILA GIOVANI: LA FUGA ALL’ESTERO COSTA 16 MILIARDI
https://www.ilsole24ore.com/art/in-10-anni-l-italia-ha-perso-250mila-giovani-fuga-all-estero-costa-16-miliardi-AC0kqkp
10. THOMAS MANN, DOCTOR FAUSTUS, MONDADORI, PAG. 169