Le vergognose menzogne sulla Libia e le mani sporche di sangue dell'Italia

Fotografia: Imagoeconomica

Fotografia: Imagoeconomica

 

C'è stato un momento nella nostra storia dove non eravamo ben visti dal mondo quando l'Italia fascista era legata alla Germania nazista e al Giappone militarista. Non eravamo ben visti dal mondo "occidentale". Non che il resto del mondo fosse più progressista, anzi. L'Impero Britannico era l'entità politica più grande della storia. L'Impero Francese aveva vasti possedimenti e svariati interessi monetari ovunque nel mondo. E poi c'erano gli Stati Uniti d'America che non erano ancora egemonici come li conosciamo oggi ma domesticamente erano segregazionisti, razzisti e pionieri dell'eugenetica e del mito della purezza della razza. Queste tre nazioni erano le potenze dell'inizio del secolo scorso e hanno dipinto l'Italia fascista digrignandola a tal punto che nel bel mezzo della guerra abbiamo cambiato casacca e seguito i vincitori. Tipico atteggiamento geopolitico dell'Italia: compiacere, reverire e servire pur di essere lasciati in pace. Un vaso di coccio fra vasi di ferro.

È da allora che l'Italia non assume una posizione scomoda senza poi subìre la macchina del fango delle potenze più grandi. Ricordiamo come l'apparato fascista criticò aspramente la "plutocrazia" e l'opulenza selvaggia e smodata del mondo anglosassone e francese che con prepotenza e una certa ingordigia ostacolavano l'ambizione del neonato stato-nazione di imporsi sulla scena mondiale come potenza. Ostacolavano l'Italia non per una sorta di amore per l'umanità ma solo per uno sfruttamento smodato senza concorrenza su scala planetaria, come d'altronde già facevano da secoli. L'Italia semplicemente non era tra gli invitati al banchetto.

Cosa c'entra tutto questo con la Libia? Noi vediamo il mondo, o perlomeno ci siamo abituati a vedere il mondo, secondo conoscenze conformi ai nostri pregiudizi. Non riusciamo a vedere la Libia e cosa vi abbiamo fatto. Prima di tutto dobbiamo ricordare che la Libia fu una colonia italiana e che quindi ha subìto un'aggressione contro cui i libici hanno condotto una fiera resistenza armata con repressioni da parte degli Italiani finite in un bagno di sangue. Le nefandezze dell'Italia coloniale, tra cui ricordiamo campi di concentramento, torture, stupri, uso di gas letali contro civili inermi, non sono ricordati nei libri di storia del Bel Paese, anzi sono state completamente rimosse dalla coscienza collettiva ma tutt'oggi hanno tristemente un enorme peso. Questa eredità dipinge a tinte fosche l'aggressione del 2011 contro la Libia da parte del mondo libero.

Fuori dal mondo occidentale e dalla sua propaganda autocelebrativa, c'è solo una domanda che imperversa: chi ha dato il diritto alla NATO di uccidere Gheddafi?

Già, chi?

Come mai il mondo occidentale "civilizzato" ha usato tutta la sua potenza militare nei confronti di un solo stato distruggendo le sue infrastrutture e quanto accumulato da generazioni?

Una Libia destabilizzata era, e tutt'ora rimane, contro gli interessi geopolitici dell'Italia. Non a caso abbiamo più volte cercato di normalizzare i rapporti con la Libia nelle ultime decadi. Questi sforzi si sono poi concretizzati con il Trattato di Amicizia (firmato a Bengasi nel 2008) tra Italia e Libia, tradito totalmente nello spirito. L'articolo 2, 3, 4, 5 e 6 recitano:

 
 

Articolo 2
Uguaglianza sovrana

Le Parti rispettano reciprocamente la loro uguaglianza sovrana, nonché tutti i diritti ad essa inerenti compreso, in particolare, il diritto alla libertà ed all’indipendenza politica. Esse rispettano altresì il diritto di ciascuna delle Parti di scegliere e sviluppare liberamente il proprio sistema politico, sociale, economico e culturale.

Articolo 3

Non ricorso alla minaccia o all’impiego della forza

Le Parti si impegnano a non ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dell’altra Parte o a qualunque altra forma incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite,

Articolo 4

Non ingerenza negli affari interni

1. Le Parti si astengono da qualunque forma di ingerenza diretta o indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella giurisdizione dell’altra Parte, attenendosi allo spirito di buon vicinato.

2. Nel rispetto dei principî della legalità internazionale, l’Italia non userà, ne permetterà l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia e la Libia non userà, né permetterà, l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro l’Italia.

Articolo 5

Soluzione pacifica delle controversie

In uno spirito conforme alle motivazioni che hanno portato alla stipula del presente Trattato di Amicizia, Partenariato e Cooperazione, le Parti definiscono in modo pacifico le controversie che potrebbero insorgere tra di loro, favorendo l’adozione di soluzioni giuste ed eque, in modo da non pregiudicare la pace e la sicurezza regionale ed internazionale.

Articolo 6

Rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali

Le Parti, di comune accordo, agiscono conformemente alle rispettive legislazioni, agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

 

venendo meno anche ad uno dei principi fondanti della carta costituzionale:

 

Articolo 11 della Costituzione Italiana
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali [..]

 
 

Il destino della Libia tuttavia è stato per quasi cinquant'anni legato alla figura di Mu'ammar Gheddafi.

Mu'ammar Gheddafi è stato a capo della rivoluzione di stampo socialista di più gran successo sul continente africano.

Approfittando della debolezza della monarchia del Re Idris I , il giovane Gheddafi prese il potere per mezzo di un colpo di Stato. Le sue idee sono molto chiare: fare della Libia uno stato socialista. La Libia di Gheddafi ufficialmente si chiama (si chiamava) Gran Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista, ed è il risultato della combinazione delle parole jamāhīr (masse) e jumhūriyya (repubblica). Gheddafi credeva nell'autodeterminazione e nelle aspirazioni del popolo libico, e lui se n'è fatto interprete in un momento storico dove le ingerenze da parte del primo mondo erano fortissime.

Questo passaggio è importante sottolinearlo. Il primo mondo, il mondo civilizzato, ha esercitato pressioni fortissime senza precedenti sul resto del globo. E lo fa tutt'ora. Questa intromissione viene vista da noi, nati nel "lato giusto", come qualcosa di fisiologico, organico, normale. Si ripete talmente tante volte che la gravità di queste ingerenze e le conseguenze aberranti vengono inconsciamente e colpevolmente ridimensionate creando uno scollamento tra l'opinione pubblica della società "civile" e il resto del mondo. E i primi quasi pensano che i loro interessi interessi, o quanto loro viene propinato, coincidano con quello dei secondi. Certo, non sono tanto i governi ad intromettersi ma i grandi interessi di poche persone "ben informate", con vaste risorse economiche e finanziarie, che sanno poi influenzare l'azione governativa per radicare, rafforzare e ampliare i propri affari in altri stati; tuttavia è il popolo a votare i governi, e questo rende i votanti dei corresponsabili.

Negli anni Sessanta, quindi, c'era grande speranza di cambiamento che pervadeva tutta l'Africa e il mondo. E Gheddafi si è presentato con un'idea di Stato, di governo, di economia molto criitca rispetto alla visione occidentale. Scrisse un libro, il "Libro verde" (1975) appunto, dove ha condensato i principi ispiratori e le sue riflessioni. Un libro diffuso dentro e fuori la Libia e anche molto criticato, derubricato come una raccolta di aforismi. Io lo vedo come un tentativo ideologico di dare un ordine, come c'è stato tante volte in ogni parte del mondo. Non parlo di cieca critica: Gheddafi ha messo in evidenza molti lati problematici dell'ordine imposto dal mondo occidentale ed ha provato a dare una soluzione che possa adattarsi alle specificità di tanti popoli nel loro cammino di libertà. Nel terzo capitolo del libro, viene introdotto quello che lui chiama, "Terza via universale", che al tempo stesso rifiutava capitalismo e lotta di classe per favorire un socialismo di ispirazione nazionale.

Come mai il socialismo? Non poteva fondare un regime fondato sul libero mercato? In realtà, tutti i popoli oppressi il secolo scorso potevano essere "capitalistici" nel senso più classico del termine. La questione è che il capitalismo per questi popoli è coinciso con l'Imperialismo. Si parla a sproposito della colonizzazione come se fosse un evento culturale, invece ha avuto connotati squisitamente commerciali: annientare la concorrenza locale per poi innondarne il mercato delle proprie merci e trarne così un profitto dopo aver prima soggiogato e poi sfruttato la popolazione. Quindi non dovremmo vedere il resto del mondo come se fosse dominato da comunisti. Anzi, è pieno di conservatori, ma bisognava distinguersi da chi ti affama per essere davvero libero, anche nelle catene.

Gheddafi tuttavia ha optato, appunto, per una terza via. Dopo aver nazionalizzato i pozzi petroliferi, poté infatti dotare lo stato libico di infrastrutture quali strade, ospedali, acquedotti e industrie che hanno reso la Libia il quinto paese più ricco in Africa con un indice di sviluppo umano molto alto. Gli ideologi socialisti sono riusciti a trasformare la Libia da uno "scatolone di sabbia" (come la definì Gaetano Salvemini nel 1911) ad uno stato prospero sul continente africano che in maniera sufficientemente stabile forniva salute, sicurezza, educazione, protezione e progresso.

Sulla terza via universale si riteneva che l'Islam fosse la fonte ideologica del suo terzo libro, ma Gheddafi sottolineò attraverso molteplici riformulazioni nel terzo libro uscito 1979 come: "se dovessimo mai limitarci a supportare solo i mussulmani, la nostra condotta sarebbe da considerarsi stupida ed egoista. Il vero Islam è quello che difende i deboli anche se non sono mussulmani".

Ovviamente la messa in pratica è stata ardua e certamente le mancanze del Gheddafi uomo hanno pesato, tuttavia il suo pensiero rivoluzionario ha fatto da direttrice nella sua azione di politica estera: guidare tutti i movimenti di liberazione sul continente africano e oltre.

Non è mistero come Gheddafi abbia finanziato l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) di Yasser Arafat, i separatisti irlandesi dell'IRA e le spinte indipendentiste dei nativi australiani e in Nuova Zelanda, ma c'è un altro più illustre beneficiario.

Gheddafi finanziò la lotta di Nelson Mandela definito terrorista da tutto il mondo occidentale, Margaret Thatcher in testa. Infatti, il primo paese che Mandela visitò come presidente fu proprio la Libia che all'epoca era stata messa al bando dalle Nazioni Unite, e Mandela ebbe a dire questo di Gheddafi:

 
 
Tutti coloro che dicono non dovrei essere qui sono persone prive del benché minimo senso morale, e questa loro mancanza non mi appartiene.
— Nelson Mandela, New York Times, 23 Ottobre 1997, Sezione A, Pagina 3
Nelson Mandela e Muhamar Gheddafi il 23 Ottobre 1997 durante la prima visita di stato del neo presidente sud africano Mandela Getty Images

Nelson Mandela e Muhamar Gheddafi il 23 Ottobre 1997 durante la prima visita di stato del neo presidente sud africano Mandela
Getty Images

 
 

Aggiungendo inoltre di aver speso 27 anni in carcere pur di non abbandonare i suoi principi e prova lo stesso nei confronti del debito che ha verso Gheddafi:

Quest’uomo ci ha aiutato quando eravamo soli.
— Nelson Mandela, New York Times, 23 Ottobre 1997, Sezione A, Pagina 3
 
 

La realtà dei fatti è che il movimento di liberazione guidato da Mandela ha potuto contare sull'appoggio della Libia ed è inutile dire come invece il regime dell'apartheid abbia goduto di enormi finanziamenti da molti paesi occidentali. Quasi sorprende dopo tanti sacrifici sentire Bill Clinton, presidente americano di allora, definire "sgradita" la prima visita di Stato di Mandela come presidente del Sud Africa. A tal proposito Mandela ebbe a dire in parole che sono diventate molto famose:

 
 
Nessun paese può rivendicare per sé il titolo di poliziotto del mondo e nessuno stato deve dettare ad un altro cosa debba fare. Quelli che ieri erano amici dei nostri nemici hanno la faccia tosta di venirmi a dire di non visitare il mio fratello Gheddafi. Ci stanno consigliando di essere ingrati e di dimenticare i nostri amici del passato.
— Nelson Mandela, discorso durante la prima visita di stato in Libia nel 23 Ottobre 1997
 
 

Spesso l'apartheid viene visto come un semplice caso di razzismo, una discriminazione generica, ma parliamo di gente che è stata segregata in casa propria da gruppi olandesi e britannici che si sono insediati nel paese in un secolo e che comunque non rappresentavano la maggioranza della popolazione che è stata segregata e messa al bando. Siamo talmente abituati a pensare come sia normale per un "africano", per un "nero" (termine che toglie umanità e personalità alla persona) soffrire e stare sempre in lotta per la sua libertà.

Passare per comunisti credo fosse la cosa più facile, e decisamente l'accusa preferita dei dominanti nei confronti dei dominati.

L'Italia e la Libia hanno avuto un legame tormentato che ha radici lontane. La prima informazione utile è che la Libia è stata una colonia, e questo non significa che ha avuto un trattamento di favore da parte dell'Italia. La Libia è stata aggredita, invasa e soggiogata. Un'aggressione che ai tempi dell'Italia liberale, e non fascista (Mussolini è finito persino in carcere per aver manifestato il dissenso alla guerra), ha visto tutti d'accordo. Anzi, la Chiesa Cattolica Romana ha dato la sua benedizione spingendo i cattolici a ritornare in politica ed a compattarsi insieme al resto dell'opinione pubblica di allora (infiammata da interventisti e futuristi) e appoggiare l'invasione. Nella memoria storica dei libici, gli italiani sono gli invasori, i colonizzatori, i rapinatori. Il nemico contro cui uomini e donne hanno organizzato la resistenza.

 
 
Gheddafi sceso a Ciampino seguito dal Mohammed Omar al-Mukhtar, 10 Giugno 2009 Graffiti Press

Gheddafi sceso a Ciampino seguito dal Mohammed Omar al-Mukhtar, 10 Giugno 2009
Graffiti Press

Gheddafi, nella sua visita ufficiale il 10 Giugno 2009 a quasi un anno dalla firma del trattato di amicizia con l'Italia, è sceso dall'aereo in alta uniforme con la foto dell'eroe nazionale libico Omar al-Mukhtar. Partigiano, imam e organizzatore della resistenza contro l'invasione imperialistica italiana degli anni Venti del secoldo scorso. Fu condannato a morte per impiccaggione. Gheddafi è sceso accompagnato dal figlio, un uomo anziano, Mohamed Omar al-Mukhtar. A venir loro incontro fu Berlusconi, l'allora primo ministro italiano.

A chi gli chiedeva del perché della foto, Gheddafi ebbe a dire: «La foto di Al Muktar è come la croce che alcuni di voi portano: il simbolo di una tragedia. Molti italiani sono stati impiccati da quello stesso governo di allora che poi è finito con l'impiccagione dello stesso Mussolini. È come l'uccisione di Gesù Cristo per i cristiani: per noi quell'immagine è come la croce che alcuni di voi portano: simbolo di una tragedia».

L'anziano figlio dell'eroe della resistenza, disse all'emittente qatarina Al-Jazeera, che non avrebbe mai incontrato il primo ministro di un Paese che «odia il popolo libico e odia Omar al-Mukhtar», neanche se glielo avessero chiesto le autorità libiche. Non ho idea di come lo abbia convinto Gheddafi e il suo governo a venire in Italia; ciò nonostante, forse aveva ragione considerando quello che accadde dopo.

In barba al trattato di amicizia secondo cui chiunque attaccasse la Libia sarebbe stato anche nemico dell'Italia, il Bel Paese si è unito alla NATO e altre 19 nazioni corraggiose nell'aggredire la Libia. Forze sproporzionate considerando l'obiettivo, ossia, mantenere e rafforzare il blocco navale delle acque libiche e far rispettare la zona d'interdizione al volo.

I presupposti legali sono assolutamente deboli. Non voglio qui difendere tanto Gheddafi, che non mi sembra diverso da altri capi di Stato in giro per il mondo (specialmente da quelli che lo stavano all'epoca bombardando), ma porre la questione sulla necessità di un intervento così pervasivo che ha leso e distrutto l'integrità di uno Stato senza che nessuno dicesse nulla.

L'Italia che ripudia la guerra ha mobilitato le sue forze armate contro uno stato amico; reso disponibili le basi aeree di Trapani, Sigonella, Gioia del Colle, Capodichino, Decimomannu, Aviano, Pantelleria; spiegato insieme ad altri stati una potenza militare che ha annichilito uno stato e il suo ordine politico e amministrativo al modico prezzo di 700 milioni di euro , conto diviso da tutti i contribuenti italiani. Non solo il rapporto di forza totalmente sbilanciato rende l'intervento sproporzionato e ingiusto ma il modo in cui è stato condotto ha travalicato ogni limite e rende difficile ogni giustificazione.

All'epoca erano tutti d'accordo per l'aggressione in Libia che non ha portato nulla di buono. Mi sarei aspettato il Partito Democratico contro l'invasione della Libia, invece votò sia in Camera che in Senato a favore dell'invasione. La sola voce contraria invece fu rappresentata proprio da Berlusconi che non ha per nulla condiviso l'aggressione. Il suo governo ne rimane l'autore legale ma Berlusconi non ha mai fatto mistero di non approvare l'impresa bellica.

Ai libici non è stata soltanto prospettata una primavera araba. Quello che fu prospettato loro con la deposizione di Gheddafi era: il ritorno in case di proprietà occupate abusivamente; migliori infrastrutture e che non ci sarebbero stati più immigrati clandestini proveniente dall'Africa Sub-Sahariana. Ironia della sorte, nulla di tutto questo si è realizzato. Le case sono state distrutte, le infrastrutture sono fatiscienti. La sanità impiegava molti medici filippini: oggi hanno lasciato tutti il paese. L'immigrazione clandestina si è espansa e interessa soggetti provenienti da parte dell'Africa Occidentale, Medio Oriente e parte dell'Asia (Pakistan, Bangladesh). Il traffico di essere umani si è espanso perché è un affare dove, da una parte, chi ha intenzione di bloccarla (l'Europa) mette molti soldi e, dall'altra, dove i disperati che tentano di sfruttare questa via aperta, mettono altri soldi. Magari sventurati provenienti da altri paesi destabilizzati tramite intervento democratico. I libici senza scrupoli e organizzazioni transnazionali criminali ci lucrano su questo incontro spietato tra domanda e offerta dove non vige né Stato né legge.

 
 

Nel 2008, Gheddafi così si rivolse ai suoi colleghi in un incontro tenuto in Siria che riuniva tutti i capi di stato arabi:

Qual è il motivo per l'invasione e la distruzione dell'Iraq? Qual è il motivo dell'uccisione di un milione di civili iracheni?
Dovremmo chiedere agli americani di rispondere a questa domanda: perché l'Iraq? Per quale ragione?
Osama Bin Laden era iracheno? No.
Quelli che attaccarono New York erano iracheni? No.
Quelli che attaccarono il Pentagono erano iracheni? No.
Le armi di distruzione di massa erano in Iraq? No.
E anche se l'Iraq avesse avuto armi di disturzione di massa il Pakistan e l'India hanno bombe nucleari come la Russia, la Francia, la Gran Bretagna e gli americani stessi.
Dovremmo distruggere tutti questi paesi?
Ogni qualvolta che arriva una potenza straniera, occupa un paese arabo e impicca il suo presidente. E noi siamo seduti in disparte ridacchiando.
Perché non si è investigato sull'impiccagione di Saddam Hussein?
Come può un prigioniero di guerra essere impiccato?
Specialmente se è il presidente di un paese arabo e membro della Lega Araba.
Io non parlo delle politiche di Saddam Hussein o dei punti su cui eravamo in disaccordo con lui. Noi tutti avevamo delle divergenze con lui e abbiamo queste divergenze tra di noi.
Non condividiamo nulla fuori questa aula.
Un'intera classe dirigente araba è stata impiccata e noi siamo ai margini a guardare, perché?
Uno di voi potrebbe essere il prossimo. Sì.
Gli Stati Uniti hanno combattutto insieme a Saddam Hussein contro Khomeini.
Lui era loro amico. Cheney era un amico di Saddam Hussein.
Donald Rumsfeld, segretario della difesa americana allora,  era un amico molto vicino di Saddam Hussein.
E alla fine lo hanno usato e impiccato.
Noi siamo amici degli americani ma loro potrebbero benissimo impiccarci in uno di questi giorni.
Gli americani hanno impiccato Saddam Hussein, e noi potremmo essere i prossimi.
 

Un discorso profetico.

 
 

Sirte, Libia.
20 Ottobre 2011.


Gheddafi è morto.
E ora dopo il conflitto abbiamo la polvere e il sangue.

 
Il corpo morto di Gheddafi tenuto in un frigo prima della sepoltura

Il corpo morto di Gheddafi tenuto in un frigo prima della sepoltura

 

Il Segretrio di Stato americano Hilary Clinton rideva scomposta e felice una volta appresa la notizia della morte di Gheddafi trasmessa in mondo visione. Proprio lei non poteva non sapere come le donne sono quelle che hanno pagato di più l'interventismo NATO a trazione franco-americano. Prima dell'avvento della Libia socialista, poche donne andavano all'università. Sotto Gheddafi, e fino al 2010, più della metà degli studenti erano donne libiche. Sotto Gheddafi, le donne libiche avevano la libertà di studiare, avere un lavoro, divorziare e avere uno stipendio. Una delle prime leggi che infatti Gheddafi e il suo governo avevano promulgato fu sull'equo compenso per la stessa mansione. Oggi tutto questo è stato smantellato attraverso bombardamenti etici, e le donne sono sotto il giogo di piccoli agglomerati sociali dove la tradizione patriarcale, contenuta prima dallo stato socialista, fa da padrone. E la natura caotica post-bellica della politica libica ha permesso ad estremisti di ogni sorta (che avversano la parità uomo-donna come una perversione occidentale) di regnare incontrastati.

Curioso notare come siano sempre stati invasi nazioni arabe laiche perché questo era l'Iraq di Saddam Hussein, la Libia di Mu'ammar Gheddafi e la Siria di Bashar al-Assad. Quelle nazioni che effettivamente sono illiberali e hanno davvero condotte poco edificanti sono tutti fidi alleati e amici dell'alleanza atlantica. E questo sarebbe un ottimo punto che ogni responsabile elettore dei governi in Europa e negli Stati Uniti dovrebbe sollevare dinnanzi ai propri governanti. Come mai? Perché? Chi sono i nostri amici? Chi sono i nostri nemici?

Ed è evidente come le opposizioni siano state finanziariamente sostenute da potenze straniere. Se non fosse per questo sostegno le opposizioni, i ribelli, non avrebbero avuto le risorse per rovesciare i loro governi. Tuttavia mancano del radicamento nel territorio e, senza questo, della capacità di unificare popoli così intimamente eterogenei sotto una sola bandiera, dopo che poi si è tanto violentemente e repentinamente tolto dall'asta un'altra ben consolidata.

Gli arabi generalmente hanno la tendenza di lamentarsi dei loro governanti salvo poi osannarli quando diventano nemici dell'Occidente. Ora tutto questo però non importa. Gheddafi è morto.

Subito dopo la fine del conflitto, Anders Fogh Rasmussen, segretario della NATO, ha celebrato l'operazione militare "Unified Protector" come la missione meglio riuscita in tutta la storia dell'alleanza.

E ora, una decade dopo questa barbarie di civiltà, noi, ingenui colpevoli, guardiamo alla Libia come "l'uomo malato dell'Africa", come un problema "europeo", una prigione, un lager, un inferno, qualcosa che la comunità internazionale deve assumersi sulle spalle attraverso "corridoi umanitari."

Berlusconi nel 2014, rimpiange lo stato di cose in Libia rivendicando la sua attività diplomatica e di come fosse riuscito "ad addomesticare Gheddafi".

Il dolce stil novo di Berlusconi con il quale descrive le sue relazioni con Gheddafi eguagliano la catastrofe che oggi assistiamo con un colpevole e vergognoso distacco.

Ai posteri l'ardua sentenza, non sarà tuttavia il tempo a lavare le mani che ci grondano di sangue.