Il dovere della Chiesa nei confronti dell’Impero e del mondo, in particolar modo dell’Africa

Rapporto ufficiale al Congresso della Chiesa Anglicana scritto dal Reverendo Alfred R. Tucker, vescovo dell’Africa Orientale-Equatoriale

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Il dovere della Chiesa in Africa è senz’ombra di dubbio quello di evangelizzare quindi non voglio occupare tempo del Congresso a parlare di questo. Quello che intendo con questo discorso non è tanto parlare del dovere stesso quanto del portarlo a compimento. Un compito che richiede ampi principi d’azione in relazione al problema da risolvere.

Alfred Robert Tucker (1849–1914)

Alfred Robert Tucker (1849–1914)

Ora è ovviamente impossibile discutere in venti minuti dei grandi e diversi problemi che la Chiesa deve affrontare nel Nord, Sud, Est e Ovest del continente africano. Sono problemi tremendi, così complessi, così diversi che ciascuno meriterebbe una trattazione a parte. Confinerò le mie osservazioni di stasera a principi generali che non solo sono applicabili ai grandi popoli animisti dell’Africa centrale (di cui ho una certa conoscenza) ma quei stessi principi devono essere le fondamenta su cui fondare la nostra impresa. Se ciascuno dei popoli di questo grande continente preservasse ogni cosa della sua individualità sia nella caratterisca razziale sia nella vita nazionale, sarà certamente nella posizione di portare il suo originale contributo alla ultima perfezione della Chiesa.

Che ci debba essere un tale speciale contributo non posso che pensare sia parte di uno scopo divino, un piano riguardante l’umanità intera e la Chiesa. In nessun altro modo possiamo render conto della straordinaria e infinita varietà della vita con cui ci ritroviamo faccia a faccia in Africa. Sopportatemi mentre vi illustro i pensieri che ho in mente.

Fotografia: Andre Abreu

Fotografia: Andre Abreu

Non molto tempo fa mi sono ritrovato su un sambuco nel bel mezzo dell’oceano indiano. Navigavamo davanti al monsone sud-occidentale lungo la costa orientale dell’Africa. Un miscuglio di immagini e di suoni hanno colpito le mie orecchie, la mia vista.

Non dimenticherò mai lo sciabordare delle onde, lo scricchiolio del legno, lo sferragliamento del cordame, le rauche grida dei marinai mischiate alle diverse lingue parlate da una variegata folla di passeggeri su quella piccola imbarcazione. Quei suoni rieccheggiano ancora oggi nelle mie orecchie. E poi .. quella visione. La più strana mescolanza di razze che abbia mai visto con i miei occhi — bianchi, neri, marroni e gialli. C’era un arabo e uno swahili, un muganda, un musoga, un indiano, un somalo, un selvaggio col suo feticismo e il maomettano con il suo tappettino per la preghiera. Qualsiasi persona di fronte una tale visione non può non fermarsi e chiedersi: “qual è il divino scopo, qual è il piano che riguarda questa multitudine di anime rappresentate in questo sambuco arabo che scivola sulle onde dell’oceano indiano?”

C’è un disegno nella mente di colui che ha detto: “tutte le anime sono mie” e “sono Signore sopra ogni cosa”? Possiamo dubitarne? Irresistibilmente un pensiero si affaccia nella mente al quale sto provando a dare espressione, ossia ciascuna di queste razze dovrà dare il suo originale contributo con la sua mente, il suo cuore e la sua vita, chiamatelo come volete ma ciascuno di loro avrà il suo posto nel mosaico della compiuta perfezione della Chiesa.

Questo credo sia la risposta alla domanda suggerita da quella scena sul sambuco arabo.

La vita è così particolare e varia in Africa, e come ha detto uno scrittore, su questi elementi sviluppatisi nel corso delle generazioni, noi potremo forgiare l’ultima perfezione, dove bianchi, neri, marroni e gialli si incontreranno nell’unità della fede e nella conoscenza del Figlio di Dio.

Ora, ci sono tre fattori che influenzano l’attività missionaria rischiando di affrentarne o ritardarne lo sviluppo. Il primo è l’influenza evangelista stessa e poi del ministero. Secondo, quella del governo — il governo della Chiesa. E terza la potente influenza dell’educazione. Spero mi sia permesso spendere qualche parola per ciascuno di questi punti.

I. Primo, per quanto riguarda l’evangelizzazione suggerirei che venga scelto per quanto possibile un nativo. Il valore di un nativo evangelista è poco compreso, completamente sottostimato e troppo spesso ignorato. Permettiamo alla chiesa locale di porre le sue forze nel grande continente africano come dovrebbe naturalmente fare; ma non significa questo lasciarle sulle spalle il lavoro dell’evengelizzazione (con enorme dispendio di uomini e mezzi) ma con un piano chiaro e definito di impiegare al massimo il nativo nel grande piano affidatole nelle sue mani.

Il missionario deve devolvere sempre più tempo all’addestramento e all’istruzione dell’evangelista. E questo non deve essere un fine secondario ma deve diventare il fine primario, il più importante. Addestrare, addestrare e addestrare, questa è la sola parola con cui riassumerei questo principio. Il nativo che va avanti semplicemente con il suo tappetino e i suoi libri — le armi della sua battaglia — sistemandosi tra la gente verso la quale è inviato come amico, compagno e insegnante può capire maniere, costumi, mentalità e modo di pensare in un modo che nessun europeo sarebbe capace di fare. Questo nativo consegnerà la verità che gli è stata rivelata, con le sue illustrazioni, con i suoi metodi, nel modo meglio calculato per vincere le anime che Cristo gli ha insegnato di amare.

Questa è la politica che abbiamo perseguito con determinazione in Uganda con ottimi risultati. Se circa vent’anni fa contavamo circa duecento battezzati, oggi c’è una chiesa molto viva che conta ottomila anime battezzate. Ed è bene sottolineare che questo risultato è stato raggiunto, a quanto ne so al momento, senza la de-nazionalizzazione di una sola anima.

Questi cristiani vivono con i loro tratti razziali e nazionali intatti e sono animati, oserei dire, da tanta grazia cristiana.

Così come la Chiesa cresce e si sviluppa, il ministero nativo dovrebbe crescere e svilupparsi sulla stessa riga. I triplici ordini quali di vescovo, prete e diacono, li consideriamo fondamentali per un’effettiva e robusta Chiesa; ma quanto di tutto ciò che c’è intorno non è essenziale e puramente anglicano? I vestiti ad esempio — vestiti neri, cravatta bianca, capello e uniforme, cibo, appartamento — tutto è calcolato per dividere il pastore dal suo gregge e per ostacolare lo sviluppo della Chiesa su motivi nazionali.

Da notare inoltre il divario che esiste tra il rango e le file dei cristiani e il clero appena ordinato ingessato alle nostre idee necessarie per tale qualificazione. Come può essere colmato? Non è possibile essere un poco più semplici nelle nostre nozioni? Sostengo che il carattere e la spiritualità nella vita siano qualifiche ben più importanti per entrare a far parte del ministero rispetto all’abilità di passare certe prove letterarie. Se la Chiesa vuole fondarsi sul solco nazionale, ci deve essere una ben esteso ministero nativo: un vasto numero di uomini e donne addestrato secondo idee locali e con i cuori in totale comunione con la propria vita nazionale, con i suoi ideali e le sue aspirazioni.

II. Il secondo grande principio sui cui insisto affinché il lavoro di evengelizzazione procedi sulle direttive che ho sopra indicato, e che il governo della Chiesa debba fondarsi su metodi di amministrazioni tradizionali o nazionali. Noi dobbiamo adattarci per quanto possibile alle circostanze locali. Dobbiamo sforzarci di scoprire le inclinazioni dei nativi. Dovremmo continuamente chiederci: “qual’è il genio di questa gente in materia di governo?” Qualsiasi cosa possiamo trarre dalle pratiche di governo nazionali e tribali deve essere considerato come un guadagno da parte nostra e un progresso materiale nello sviluppo di una chiesa nazionale.

Abbiamo scoperto come questo principio sia vero in Uganda dove l’intero sistema di governo della Chiesa è fondato sul sistema nativo di amministrazione civile. Il risultato è che non c’è nulla di straniero nella costituzione della Chiesa. Struttura che è compresa anche dal più umile membro della Chiesa ed è operata intelligentemente dall’alto al basso della gerarchia. Qui però permettetemi di lanciare un avviso che riguarda l’uso di moneta estera e come questa influenzi lo sviluppo della Chiesa nazionale. Deve sempre essere tenuto a mente come il capitale straniero conduce irrimediabilmente ad un controllo esterno. Niente rovina la naturale crescita e sviluppo di una Chiesa nativa come il portafoglio, un potere davvero orribile. Niente rappresenta il preludio di una calamità come l’uso improprio di fondi esteri. Spesso è volentieri il missionario non capisce che usare fondi esteri su questioni dove la Chiesa locale deve essere responsabile, equivale ad un’ingiuria. Questo missionario sta privando quella Chiesa di un privilegio di cui lei ha diritto di godere. Questo missionario sta ritardando la realizzazione del grande principio di auto-sostentamento e di conseguenza la possibilità di questa Chiesa di diventare una chiesa missionaria, privandola di contribuire alla sua propria futura completezza.

III. Infine, è compito della Chiesa vedere come la potente influenza dell’educazione è diretta verso lo stesso grande fine. Non posso non vedere come molto tempo sia stato perso e molta energia sprecata per l’educazione non fondata su elaborazioni locali. Non ho alcuna autorità di parlare dell’India ma è mia impressione che la politica intrapresa nelle questioni educative lì sia stata per gran parte un errore — l’educazione fondata sulla lingua vernacolare è stato fin troppo trascurata, e l’anglicizzazione dell’educazione non ha portato alla formazione di una carattere nazionale che noi avremmo sperato. Non ho idea di cosa accada in Sud Africa ma sono animato dalle stesse impressioni circa l’educazione.

In Uganda una cosa su cui ci siamo sforzati più di ogni altra cosa di evitare e che consideriamo il più grande degli errori, è alienare uomini e donne dalla loro gente, renderli sconnessi con le loro vite e stranieri ai loro ideali. Tutta la nostra educazione primaria è in lingua vernacolare col seguente risultato, benché vent’anni fa avevamo difficilmente qualche cristiano nelle scuole, oggi abbiamo tra le cinque e sei mila.

Credo fermamente con tutto il mio cuore e la mia anima che la questione dell’educazione in vernacolo è intimamente legata alla preservazione di quelle caratteristiche razziali e nazionali che accresciuti, sviluppati e santificati attraverso lo Spirito Santo, saranno messe al servizio della Chiesa del futuro in Africa che è destinata a giocare la sua parte, e non una piccola, per il compimento dello scopo divino che riguarda l’umanità nella sua totalità.

In conclusione, sostengo come queste varie considerazioni impongano alla Chiesa l’obbligo di utilizzare in tutte le sue imprese missionarie tutto ciò che è caratteristico del popolo come i metodi impiegati nell’amministrazione della giustizia — come guida su un esercizio efficiente della discipina, e ricordate come l’africano tende a sottomettersi all’autorità — l’organizzazione politica del paese come può essere utile nell’organizzazione della Chiesa — e l’uso dello stesso nativo per l’evangelizzazione e l’impiego di uomini e donne del luogo e per l’educazione del giovane spingere su un’educazione in vernacolo ed evitare completamente ogni cosa mirata a denazionalizzarli.

Nella pratica missionaria vi deve essere un giuramento (che parte dal vescovo fin giù agli elementi più umili della gerarchia ecclesiastica) di tenere i nativi ben lontani da quei atteggiamenti e prospettive tipicamente anglicane. Mostriamo lo zelo, la caratteristica spirituale del missionario. Non nascondiamo lo zelo ma tutto ciò che è puramente anglicano tenetelo da parte.

So benissimo che è una cosa molto difficile da sentirsi dire. Il temperamento anglosassone d’altronde è magistrale e senza dubbio nelle questioni politiche ha giocato un grande parte nella formazione delle nazioni, e nei giorni a venire giocherà un ruolo ancora più grande, ma nella costruzione della Chiesa di Nostro Signore e Maestro altre forze devono entrare in gioco, altre qualità devono trovare posto se la Chiesa deve essere completa in ogni sua parte.

Deve essere conservato ogni cosa che è buona nelle caratteristiche razziali — l’intensa fiducia dell’africano nell’invisibile, la sua sottomissione alla disciplina, la sua fede infantile, la sua pazienza, la sua gentilezza, la sua capacità di imparare, tutto questo deve esser messo al servizio della Chiesa. Che possano giocare un ruolo e avere la loro parte nell’ultimo compimento così Nostro Signore e Maestro possa avere una gloriosa Chiesa senza macchie, santa e senza imperfezioni.